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Omicron, la variante sfuggente. Ma c’è un monoclonale che funziona

Omicron, la variante sfuggente. Ma c’è un monoclonale che funziona

I primi studi lo evidenziano: la variante Omicron riesce a eludere gran parte degli anticorpi, siano essi naturali, derivanti da un vaccino o monoclonali. La dose booster aumenta, sia pure in parte, la protezione.
Ma esiste anche un anticorpo monoclonale, il sotrovimab, che in vitro ha dimostrato una certa efficacia.

Il monoclonale “sotrovimab”

Il punto di forza di sotrovimab, spiegano i ricercatori della Humabs BioMed di Bellinzona, che hanno pubblicato i dati preclinici di uno studio condotto in partnership con GlaxoSmithKline Vir Biotechnology di San Francisco, è la sequenza della proteina Spike del Sars-CoV-2 a cui si indirizza per generare la risposta immunitaria. Questa è diversa da quelle che utilizzano gli altri anticorpi monoclonali e non risulta modificata nella varianti fin qui conosciute.
«Confermo: sotrovimab sembra effettivamente più efficace degli altri anticorpi monoclonali verso Omicron», dichiara Paolo Palma, responsabile UOC di Immunologia clinica e vaccinologia del Dipartimento pediatrico universitario ospedaliero del “Bambino Gesù” di Roma. «Ma c’è un problema clinico da tenere in considerazione: di base, questo anticorpo è di difficile reperibilità dal punto di vista pratico. E bisogna quindi applicare anche qui criteri stringenti nell’utilizzo della terapia, riservandola ai pazienti veramente a rischio».

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Paolo Palma, Responsabile UOC di Immunologia Clinica e Vaccinologia, Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

Una strategia valida al presente

Pur risentendo meno degli altri monoclonali delle mutazioni presenti su Omicron, sotrovimab richiede l’utilizzo di dosi molto maggiori, fino a 3 volte, rispetto a quelle necessarie per rispondere alle precedenti varianti, con maggiori rischi di una risposta allergica oltre a costi più elevati. Intanto, anche in Cina la BeiGene e la Singlomics stanno effettuando una sperimentazione clinica su un altro anticorpo che si indirizza alla stessa sequenza proteica.

L’idea che si possa pensare di aver trovato la chiave per realizzare un vaccino a prova di variante, però, è errata. «Questo – riprende Palma – è vero solo fino a oggi. Perché il virus teoricamente può ancora cambiare e anzi è probabile che il quadro tra un paio di mesi sarà ben diverso. Questo non è un retrovirus, come ad esempio quello dell’Aids, ma un virus che presenta una discreta capacità di variare. Per questo, se troverà questa parte della Spike bloccata, per resistere proverà a mutare in altri siti, creando una nuova variante».

La ricerca di un vaccino a prova di variante

«In effetti – aggiunge l’immunologo – ci sono virologi molecolari che stanno lavorando sulla possibilità di predire l’evoluzione del virus sulla base dello studio dell’interazione dei farmaci e della risposta dei soggetti al virus. Ma esiste anche, e va tenuta sempre presente, la realtà. Così, in teoria, alcune varianti che magari oggi sono presenti in maniera minoritaria in Africa se non controllate potrebbero causare un’ulteriore ondata di infezione».
La situazione, del resto, è già nota essendosi presentata per altri virus, come quello dell’influenza: di fronte a nuovi farmaci, il virus si attrezza per resistere e sopravvivere. «Non tutte le varianti – conclude Palma – sono favorevoli all’evoluzione del virus. Come è avvenuto con Omicron, nel momento in cui Delta è prevalente, alcune possono renderlo più infettivo, ma meno mortale. Anche se, per definire l’effettiva minor aggressività, bisogna poi vedere i dati sui pazienti non vaccinati».

Gli studi su Omicron e l’importanza del booster

Al di là delle indicazioni su sotrovimab, dallo studio svizzero è emerso anche che, di fronte a Omicron, l’efficacia degli anticorpi presenti nell’organismo di convalescenti e vaccinati è inferiore tra le 20 e le 40 volte rispetto ad altre varianti. Il booster però consente un recupero di buona parte di questa capacità protettiva, che si riduce di circa 4 volte.
Un dato che viene confermato anche dai ricercatori dell’istituto Pasteur, secondo i quali, pur richiedendo concentrazioni tra 5 e 31 volte superiori a quelle necessarie per la protezione da Delta, la terza dose permette agli anticorpi di mantenere una certa attività contro Omicron. Che sarebbe in grado di bucare 6 dei 9 monoclonali attualmente approvati, riducendo tra 3 e 80 volte la potenza degli altri 3.
Secondo i virologi della Columbia University, infine, il vaccino protegge da Omicron 22 volte meno di quanto fa nei confronti del ceppo originario di Wuhan, con un lieve recupero grazie alla dose booster, mentre 17 dei 19 anticorpi monoclonali in sperimentazione sono inefficaci contro la variante ora dominante.

Alberto Minazzi

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