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NUOVI ASSETTI TERRITORIALI E SOCIALI

NUOVI ASSETTI TERRITORIALI E SOCIALI

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L’evoluzione metropolitana in atto impatta sulla società e la sua popolazione, spalancando a nuovi scenari e altrettante sfide

Che disegno pure approssimativo, ma realistico possiamo tracciare dell’area metropolitana veneta, quella che – grosso modo – ha il suo baricentro naturale in Venezia, ma che si estende prepotentemente pure a est, a ovest e a nord rispetto al capoluogo? Perché sicuramente è in emersione una realtà urbana per molti versi nuova e in continua trasformazione che, soprattutto in questi ultimi anni, sta modificando profondamente il proprio aspetto, le proprie caratteristiche e la sua stessa identità. E’ stato detto che uno dei motori della megalopoli produttiva padana è l’asse pedemontano che va da Vicenza a Pordenone passando per il triangolo Padova-Venezia-Treviso, il cuore del cambiamento metropolitano. Una città per certi versi inconsapevole, dove corre la transizione terziaria-quaternaria e postmaterialista del Veneto e dove opera una neoborghesia a capo di quella media impresa globale che pur nella crisi fa innovazione e apertura sul mondo.
Come tutte le grandi trasformazioni storiche, un cambiamento di questa natura non si verifica senza incidere profondamente sull’assetto della società in cui ha luogo. Infatti in molte città dei paesi con economie avanzate questo mutamento è avvenuto provocando grossi sconvolgimenti sociali. Nella situazione del Veneto orientale, grazie alla caratteristica policentrica dell’hinterland e al suo diffuso tessuto industriale – il capitalismo molecolare – e insediativo, il sistema è in grado di gestire il cambiamento evitando le conseguenze più drammatiche verificatesi in altre zone. Il periurbano è il luogo della nuova redistribuzione sul territorio delle nuove unità produttive, dei grandi insediamenti di servizio e dei nuovi luoghi pubblici attorno ai quali si sta riorganizzando l’insieme delle strutture urbane. Ed è al tempo stesso il luogo della nuova collocazione di vari tipi di residenza, sempre meno componenti di cellule comunitarie locali e sempre più “campi-base” dai quali si elaborano e si attuano le strategie di percorrimento del territorio metropolitano.
La crescita della nuova città, inoltre, è strettamente collegata a nuovi ceti sociali di cui si è parlato fin dagli anni Ottanta: oggi sappiamo che la composizione sociale della metropoli è fortemente condizionata dallo sviluppo delle nuove professioni collegate ai servizi quaternari, al creativo, all’economia digitale ed ai mercati sopranazionali. Qui entra in gioco la grande crescita in termini di istruzione che ha interessato le generazioni più giovani universitarizzandole in misura massiccia se non prevalente. Tale investimento in education – pur non sempre coerente con l’offerta di lavoro esistente o prevedibile – ha comunque creato il capitale umano necessario per un mondo del lavoro in grande accelerazione qualitativa, una accelerazione che la dimensione metropolitana esalta. Inoltre, la società urbana che ne sta emergendo non può essere compresa criticamente se non si entra nella logica delle strategie di gestione del tempo e dello spazio della popolazione che abita, lavora e consuma nella nuova città. Si manifestano fenomeni nuovi, tra i quali quello che ci segnala che il tempo di viaggio giornaliero è proporzionale allo status in un modo simmetricamente inverso a quello della vecchia metropoli industriale o di prima generazione. Navigare nel periurbano è un’attività importante per la vita quotidiana dell’abitante metropolitano e la mobilità – delle persone, delle merci, delle informazioni e delle idee – è oggi un asset fondamentale. Tanto più che oltre agli abitanti gravitano sull’area numeri considerevoli di utenti (city user), in buona parte pendolari, uomini d’affari e soprattutto turisti. Sia gli utenti della città che i turisti e gli uomini d’affari metropolitani sono un prodotto del terziario. Al contrario delle industrie che spostano merci, i servizi richiedono principalmente lo spostamento degli individui. Malgrado una porzione crescente di servizi possa essere fornita telematicamente, la maggior parte di questi dipende ancora da contatti personali, anche quando non si tratta di consumatori finali, come nel caso dei servizi alle imprese. Consulenze, cura, benessere, relazioni pubbliche, vendita, loisirs e simili: sono tutte attività che richiedono un’interazione faccia a faccia, intensa e ripetuta. Lo sviluppo di questa popolazione segnala un altro fenomeno molto importante, vale a dire la internazionalizzazione o la globalizzazione delle aree metropolitane.
Sappiamo anche, dai dati censuari, che vi è qui una consistente crescita della popolazione, una crescita inusuale e bizzarra perché è stata tirata non dalle nascite, ma dall’immigrazione e dall’invecchiamento. Una crescita peraltro a due velocità, dato che ha escluso le città capoluogo ed ha investito i centri urbani minori e periferici, il cosiddetto periurbano, che nella nostra realtà territoriale costituiscono una sorta di “periferia infinita” enorme e spesso indistinta. Disegnando una densità abitativa particolarmente elevata nelle aree del Veneziano occidentale, del Padovano orientale e del basso Trevigiano.
Inoltre la denatalità, malgrado il contributo delle immigrate, ha contraddistinto soprattutto questi ultimi anni approfondendosi quanto a gravità della riduzione del tasso di fecondità per donna. Una tendenza che – complice la recessione economica – non potrà probabilmente più correggersi, dato il progressivo calo delle donne in età feconda dovuto alla denatalità che si era già avviato una trentina d’anni fa unito al contributo calante delle straniere, colpite dalla crisi occupazionale e dai costi dei figli. Tale denatalità ha già mostrato il suo volto: al censimento ultimo si è nettamente contratta la numerosità della fascia biografica tra i 15 ed i 39 anni (specie nei 25-30), delineando così un degiovanimento grave perché sottrae giovani socialmente strategici sia quanto ad offerta istruita di lavoro, sia quanto a futura genitorialità.
Un mutamento dai numeri ancora più decisi è dato dal crollo della nuzialità, ormai sostituita da altre architetture dell’affettività e dello stare insieme: come le convivenze – di ciò è segno il numero crescente di bambini che nascono fuori dal matrimonio – e le coppie a distanza. Per converso crescono le rotture coniugali, separazioni e divorzi, che tendono però a riprodurre nuovi matrimoni, per cui ciò che oggi (da tempo in realtà …) frana è il numero dei primi matrimoni, mentre comunque l’età media al coniugio tende inesorabilmente a salire. Un cambiamento assai profondo quanto a scosse sociali che è, e sarà, in grado di produrre è dato dall’invecchiamento. Vista la crescita inesorabile degli ultrasessantacinquenni e soprattutto dei grandi anziani, quelli sopra gli 85 anni. Ed anche dei centenari, il segmento di età oggi percentualmente più dinamico. Questa robusta crescita della cosiddetta terza e quarta età è prodotta da due motori demografici. Il primo, è dato appunto dal calo delle nascite e dal conseguente degiovanimento; il secondo, invece, dalla longevità, misurabile in un aumento rilevante della aspettativa di vita che si traduce in un guadagno medio di tre mesi ogni dodici di vita. Per cui se oggi gli anziani sono poco più di un quinto della popolazione, nel 2050 saranno più di un terzo. Con una crescente diversificazione però tra “anziani giovani(li)” e grandi anziani (cioè terza e quarta età) e con indubbie ricadute, in parte ancora da delineare, in termini economici, sanitari, assistenziali, culturali, di consumi e di stili di vita.
Infine le migrazioni. Migrazioni al plurale, quindi non solo immigrazione. Per quanto riguarda quest’ultima, in termini censuari vi è stato negli ultimi dieci anni un triplicarsi della presenza degli stranieri, anche se con modalità non omogenee tra i territori. Ciò ha portato evidentemente ad un certo ringiovanimento delle popolazioni locali sia per l’afflusso stesso degli immigrati sia per la crescita delle seconde generazioni presenti ormai nelle scuole del territorio. Oltre ad un contributo economico e lavorativo rilevante. Tuttavia, negli ultimi anni, le difficoltà occupazionali stanno avendo tre ricadute demografiche: un raffreddamento dei flussi migratori in entrata; il prodursi di effetti di ritorno di difficile quantificazione dato che spesso non vengono fatte le cancellazioni anagrafiche; e l’inedito fenomeno dell’emigrazione di giovani italiani che cercano all’estero quelle possibilità lavorative neglette in loco.
Le città metropolitane sono sempre, per definizione, i luoghi della complessità, dell’innovazione, della sperimentazione, della mobilità, anche delle contraddizioni. Sono un laboratorio che precede nel cambiamento: lo si vede nei nuovi lavori, nei ceti emergenti ed in quelli declinanti, nei consumi, nella cultura secolarizzata, nelle nuove identità famigliari, professionali e personali. Ed anche nelle novità demografiche che si presentano. Questa specie di avanguardia territoriale fa da volano a tutta una serie di stimoli e mutamenti che non solo ne riproducono di nuovi, ma si espandono sui territori esterni fertilizzandoli in termini economici, culturali, imprenditoriali. Perché viviamo in una economia dei flussi e dei luoghi e tale caratteristica qui viene accolta e rilanciata.
Ed è questo, alla fin fine, il vero valore aggiunto della Città metropolitana. Anche se occorrerà capire se si andrà verso un rafforzamento della comune identità metropolitana come smart cities a rete o se prevarrà l’attrattiva centrifuga delle due global cities che già esistono ad ovest (Milano) e a nord (Monaco). Venezia stessa dovrà scegliere se adagiarsi come città museale oppure se divenire polo e snodo dell’immateriale, dell’economia creativa ed esperienziale, dell’industria culturale e dell’intrattenimento.

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