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Morti per l’inquinamento, Italia condannata: non li ha protetti

Morti per l’inquinamento, Italia condannata: non li ha protetti

La Corte europea dà ragione ai residenti: esposti per anni ai veleni delle Fonderie Pisano, senza tutele né verità

Antonella Todisco, Franco Calce, Vito Todisco e Palma Ferrara, morti a causa dei tumori di cui si erano ammalati dopo l’esposizione alle sostanze tossiche nelle proprie abitazioni.
Ma anche Pino Cantillo e Ugo Di Concilio, deceduti per patologie collegate all’inquinamento dopo aver denunciato l’odore nauseabondo provocato nelle proprie abitazioni e l’inquinamento atmosferico collegato alle attività delle Fonderie Pisano, lo stabilimento industriale situato nella Valle dell’Irno, nel Salernitano.
Va principalmente a queste vittime il pensiero che il presidente dell’associazione “Salute e Vita”, Lorenzo Forte, ha voluto esprimere pubblicamente, dedicando loro la sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo, per queste morti, ha condannato l’Italia.

Fonderie Pisano: una storia di inquinamento

A 7 anni di distanza dalla presentazione del ricorso, il pronunciamento emesso il 6 maggio 2025 dall’organo giudiziario continentale ha posto un punto fermo a una storia di inquinamento che ha interessato la popolazione residente nell’area a partire dal 2008. Nel 2006, la zona dello stabilimento, infatti, fu riclassificata da quella inizialmente prevista come “industriale” nel 1963 a “residenziale”, anche se specificando che tale nuova destinazione era subordinata alla delocalizzazione della fonderia. Uno spostamento, in realtà, mai avvenuto, con l’impianto che ha continuato a operare a ridosso delle nuove abitazioni, con effetti nocivi sia sull’ambiente che sulla salute della popolazione. Un impatto che è stato scientificamente confermato dallo studio epidemiologico “Spes” (Studio di Esposizione nella Popolazione Suscettibile”) e dalle analisi condotte sui residenti. In tal modo sono state rilevate nelle persone concentrazioni di metalli pesanti notevolmente superiori alla media, dimostrandone, conferma la sentenza, anche la riconducibilità alle attività della fonderia.

La violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

La Corte europea ha dunque accertato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, e dei relativi obblighi positivi imposti dalla norma, affermando che le autorità italiane hanno omesso l’adozione di misure necessarie ed efficaci per assicurare la tutela e la protezione effettiva dei cittadini residenti nei pressi dello stabilimento. È stato infatti rilevato come, tra il 2008 e il 2016, le Fonderie Pisano abbiano prodotto gravi forme di inquinamento senza che la popolazione interessata sia stata adeguatamente informata dei rischi connessi alla permanenza in quell’area. Non solo: anche riguardo al periodo successivo al 2016, gli sforzi compiuti per ridurre l’impatto ambientale della fonderia sono stati ritenuti insufficienti a compensare l’esposizione prolungata subita dalla popolazione locale. La conclusione a cui sono arrivati i giudici è stata quindi quella che le autorità italiane hanno mancato di operare un adeguato bilanciamento tra gli interessi in gioco ed è stato imposto allo Stato l’obbligo di adottare misure generali volte a ripristinare, per quanto possibile, la situazione in cui i ricorrenti si sarebbero trovati se la violazione non si fosse verificata.

“Una giornata epocale”

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha anche suggerito la delocalizzazione dello stabilimento, come del resto già previsto dal piano urbanistico del 2006, tra le possibili misure da mettere in campo, insieme a un’efficace gestione dei rischi ambientali. “Oggi per la nostra comunità – ha commentato Lorenzo Forte – è una giornata epocale. La sentenza mette la parola fine all’accertamento della verità storica sul disastro ambientale e sulla devastazione causata dall’inquinamento delle Fonderie Pisano. Siamo soddisfatti di questa sentenza, che condanna inequivocabilmente lo Stato italiano e tutti gli organi istituzionali responsabili”. “La nostra gioia – conclude il presidente dell’associazione “Salute e Vita” – è però mista all’amarezza: quella di sapere di aver avuto sempre ragione, ma di non essere mai stati ascoltati”.

Alberto Minazzi

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