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L'ordine delle cose

L'ordine delle cose

Nel film del regista Andrea Segre, temi e interrogativi sui migranti calati nella Padova odierna

 

Applausi nelle sale, gente in coda all’esterno dei cinema, il botteghino che sorride. Poi la lettera di apprezzamento inviata dalla Santa Sede. Anche Papa Bergoglio ha voluto vedere “L’ordine delle cose”, esprimendo il suo apprezzamento per un film che invita a «interrogarsi e ad interrogare su un fenomeno che divide ma che non può lasciar indifferenti le coscienze».

Il film che il regista padovano Andrea Segre ha presentato lo scorso settembre all’ultima Mostra del Cinema di Venezia continua a riscuotere successo. E a far discutere. “L’ordine delle cose” affronta il tema dell’immigrazione e degli accordi tra Italia e Libia. Non è un film-inchiesta. Non è neppure un film denuncia ma un film sul conflitto di un’epoca, che è la nostra.

Andrea Segre regista del film “L’ordine delle cose”

Andrea Segre, è così?

È un film in cui la sovrabbondanza di discussioni attorno al tema di cui si parla è stata messa da parte per raccontare la storia di un uomo e delle sue emozioni. Corrado è un personaggio speciale e normale nello stesso tempo. Fa un lavoro particolare, si occupa del controllo dei migranti, ma è una persona che facendo ciò si pone delle domande.

È quello che spero succeda anche a noi mentre seguiamo la sua storia.

Il film però non fornisce delle risposte. Oppure il titolo e l’ordine maniacale del protagonista ci dicono che la risposta sta nell’ordine precostituito?

L’ordine maniacale di Corrado è ciò che Corrado vorrebbe utilizzare come difesa costante della sua vita, delle sue emozioni. Nel cercar di tenere tutto in ordine ha l’impressione che tutto funzioni. Però Corrado è anche abituato a stare nel disordine. Per lavoro fa dei viaggi pazzeschi, fa missioni internazionali e sa bene cos’è il disordine. La sua speranza è quella di riuscire a governare quel disordine. Vorrebbe farlo tentando una cosa molto difficile, provando cioè ad unire alla ragion di stato l’etica. Quando ci prova, dentro di lui succedono delle cose che mi auguro succedano anche a noi.

Ordine e disordine sono due metafore di molte vite. E di città diverse.

La Padova in cui vive Corrado è molto ordinata, c’è un bel quartiere residenziale, tutto è pulito… esigenze di copione o altro?

È la Padova che molti padovani cercano di conservare il più possibile, quella ordinata, precisa, che funziona bene. Io ora vivo tra Padova e Roma, dove il disordine entra nell’ordine e in certi momenti si fatica a starci. Però ho imparato molto da questo disordine. Ho imparato a cogliere quegli elementi di complessità e di intensità della vita che a volte l’ordine tende a nascondere. Credo che ognuno di noi sappia che quando nella nostra vita tutto funziona perfettamente c’è qualcosa che non stiamo ascoltando.

Nella Padova di Corrado, e nel suo cuore, qualcosa però si muove.

Sì. Credo che in una città italiana come Padova avere il coraggio di ascoltare anche gli elementi di disordine serva a sentirsi più vivi e più capaci di affrontare il futuro, non soltanto attraverso il parametro della paura ma anche attraverso quella della curiosità per il cambiamento.

Venezia, alla quale pure c’è qualche riferimento nel film, è ordine o disordine?

Venezia, essendo una città di mare, contiene dei pezzi di disordine che provengono da ciò che sta oltre il mare e dal fatto che la sua storia continua ad essere incastrata dentro la città. Il suo aver abdicato alle esigenze del mercato turistico la rende un po’ troppo ordinata per quel mercato, che poi è quello che disordina la vita di chi ci sta normalmente. Però è una città molto diversa da Padova e dalle altre città di provincia, perché i segni di centinaia di anni di contaminazioni e incontri attraverso il mare sono ancora molto vivi.

Muovendosi tra ordine e disordine, tra ragion di stato ed etica, tra Padova e la Libia, Corrado lascia un’unica, difficile domanda: “E voi? Cos’avreste fatto?”.

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