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LE DOLOMITI DIVENTANO CONTEMPORANEE

LE DOLOMITI DIVENTANO CONTEMPORANEE

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Una nuova proposta per coniugare l’archeologia industriale con l’arte contemporanea.

Dalle nostre montagne arriva un progetto di successo per incentivare la diffusione di cultura e nel contempo ridare vita agli spazi industriali in disuso

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Gianluca D’Incà Levis – foto di E. Bertaglia 

 
L’ ideatore del progetto Dolomiti Contemporanee, Gianluca D’Incà Levis, ha le idee molto chiare e risponde affermativamente, con grande energia propositiva, a quesiti inerenti il rilancio della Montagna attraverso l’Arte. Essa stessa diventa volano per produrre ricchezza e valore aggiunto per una cultura non solo locale e turistica. Il territorio caratterizzato da millenni di cambiamenti geologici diventa accessibile, abbandonando così quella connotazione da cartolina del “mordi e fuggi”. Di conseguenza, l’archeologia industriale alpina di luoghi andati in oblio è una reale ripartenza e opportunità. Nasce nel 2011 il progetto Dolomiti Contemporanee che, divulgando l’Arte nella montagna, ha utilizzato siti industriali dismessi che successivamente hanno trovato nuova vita dopo le manifestazioni artistiche. E dalla fine del 2012 è la scuola elementare di Casso, dopo un accurato restauro, a rinascere per ospitare eventi culturali. Un luogo propulsore di vita, simbolo di ripartenza e non di solo ricordo paesaggistico passivo, inerente al tragico evento provocato dall’ottusità umana, industriale e politica. A ridosso di una nuova stagione ricca di eventi, il curatore Gianluca D’Incà Levis entra nei dettagli del suo affermato progetto.
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Nuovo spazio di Casso –  foto di Giacomo De Donà

 
«Il progetto si propone di rinnovare l’immaginario montano e dolomitico spesso predato da stereotipi di luoghi comuni, come quelli inerenti, per esempio, al cibo. Vogliamo portare l’arte contemporanea dove spesso la gente mangia pane e cartoline. Attiviamo la sensibilità critica, intelligente, responsabile e non contemplativa propria dell’uomo, che cerca e sperimenta nelle Dolomiti Patrimonio dell’Umanità. In modo imprevisto, DC occupa e riesuma grandi siti industriali o civili dismessi e dimenticati, dal grande potenziale. Sono tutti luoghi sempre eccezionali. Vi realizziamo le attività artistiche e culturali sottraendoli all’inerzia, trasformandoli in fabbriche della produzione culturale. Al loro interno ideiamo immagini nuove, ma non arcaiche».
Qual è il bilancio complessivo dell’iniziativa dal 2011 ad oggi? «In tre edizioni sono stati coinvolti quasi 200 artisti e una decina di curatori. Duecento i soggetti partner, pubblici e privati, coinvolti. La nostra rete è uno dei motori principali del progetto, perché evidenzia il nostro radicamento territoriale attraverso una condivisione, non solo culturale, ma anche sociale. Rilanciamo sempre, per crescere ancora. Nel website www.dolomiticontemporanee.net è possibile approfondire la conoscenza del progetto e delle attività attraverso i vari menù».
Qual è il concetto di base? «Siamo culturalmente attivi e aggressivi nei confronti delle mentalità pigre e incapaci di visioni, perché diventano esse stesse accidiose e perniciose. Se un complesso d’archeologia industriale o una fabbrica sono chiuse da 20 anni, al di là di aver estinto il potenziale produttivo, vuol dire che l’uomo è pigro e svogliato in quanto ragiona in modo convenzionale. Oggi è possibile ripensare ogni cosa: noi apriamo. Non esiste alcun destino di morte e la chiusura è un’incapacità».
Dunque, luoghi espositivi quali vecchie o nuove realtà produttive dismesse: un recupero di archeologia industriale… «Siamo alla ricerca di siti chiusi, abbandonati e/o sottoutilizzati ma eccezionali per caratteristiche storiche, spaziali e volumetriche, in quanto posseggono un rapporto fortissimo con il contesto naturale e l’imponente natura dolomitica. Tutti questi luoghi, in cui si sono consumate esperienze importanti, sono caratterizzati da lavoro e socialità. Si tratta di siti che hanno avuto in passato un ruolo capitale nell’economia e nel territorio, ma che ora sono ridotti a lapidi, come in un cimitero. Dunque, lavoriamo per metterne in evidenza le potenzialità, rivitalizzandoli e contemporaneamente riavviandoli. All’interno di questi siti predisponiamo le funzionalità base d’accoglienza, attrezzando residenze d’artista tramite l’utilizzo di grandi spazi industriali vuoti per le attività espositive. In questo modo invitiamo decine di artisti a vivere nei siti trasformandoli in fulcri d’azione critica e in centri propulsivi. In sintesi, i siti rivivono per alcuni mesi divenendo centri di produttività. Terminata la stagione d’eventi, essi stessi hanno riguadagnato un appeal, anche commerciale, che porta a intavolare nuove riflessioni sul loro valore».
Come si sostiene economicamente Dolomiti Contemporanee? «Sono necessari elementi quali forza, costanza, risorse umane e idee. I fondi sono meno importanti, e in realtà ne abbiamo pochissimi. Ogni anno risparmiamo centinaia di migliaia di euro attraverso una struttura progettuale che, ampliando ogni giorno la propria rete di sostegno, riduce i costi allargando la base condivisa. Ognuno dei nostri partner consente un’economia di spesa: da un lato centinaia di questi ci aiuta, dall’altro decine di giovani come tirocinanti, volontari e stagisti, provenienti dal territorio, entrano nel progetto facendo una nuova esperienza remunerativa dal punto di vista culturale. Forse un giorno potremmo disporre di budget migliori, ma adesso produciamo ugualmente con grande fatica, raddoppiando l’impegno. Le risorse economiche che abbiamo vengono dal pubblico, ma sono insufficienti. DC è diventato comunque un caso di studio, perché si tratta di un progetto privo di una struttura economica che riattiva siti inerti attraverso meccanismi pro-economici».
A Casso c’è uno spazio espositivo permanente. «Il Nuovo Spazio di Casso è un Centro per la Cultura Contemporanea della Montagna. È stato inaugurato nel 2012 e occupa la sede della vecchia scuola elementare del paese, semidistrutta nel 1963 dalla tragedia del Vajont. Questo luogo è unico e al tempo stesso assolutamente peculiare e universale. Nell’area del Vajont, dopo mezzo secolo, gli spazi sono lasciati alla tragedia e alla sua memoria. Il dolore, il lutto, la disperazione e la continua commemorazione hanno caratterizzato, per decenni, l’economia umana di questi luoghi e di queste valli. Comprendendo tutto questo, non vogliamo insegnare nulla a chi ha sofferto in passato e/o a chi sta ancora soffrendo oggi per quella terribile catastrofe, provocata dall’uomo. Però riteniamo che non sia ammissibile che, in questo luogo, la morte abbia vinto per sempre, cacciando l’essere umano, fermando la storia e impedendo il sorgere di nuove idee, immagini e situazioni. Il Nuovo Spazio di Casso implica alla base tale concetto: una stazione di produzione d’immagini pubbliche nuove, attraverso le quali si dichiara che la terra del Vajont non è per sempre una landa di morte in quanto l’uomo è ancora vivo».
Spesso si sente affermare che la montagna non è più quella di un tempo… «Chi non sa guardare all’oggi, difficilmente utilizza bene memoria e cultura. Chi crede che la verità e la bellezza della montagna siano perse nel passato, penso non sappia guardare in modo aperto, responsabile e franco al proprio tempo».
Stiamo entrando nel culmine della stagione 2014. Quali partnership ed eventi? «Più che di eventi, parlerei sempre di un processo culturale coerente in atto. Quest’anno parte il Concorso Artistico Internazionale Two calls for Vajont (www.twocalls.net) che pone il focus sulla vita nell’area del Vajont. Saranno ideate due opere di public art, una delle quali posta proprio sulla Diga. Il Concorso vede partnership culturali importanti quali per esempio il Mart di Rovereto e la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, oltre alla partecipazione di personalità internazionali rilevanti, come Marc Augé e Alfredo Jaar. Il nuovo cantiere 2014 è situato nell’Ex Villaggio Eni di Borca di Cadore. Infatti in questi giorni è partito il Progetto Borca (www.progettoborca.net) che consiste in un ambizioso programma di rilancio di questo eccezionale e unico sito. Nel Nuovo Spazio di Casso con l’esposizione collettiva The inner outside (bivouacs), abbiamo ospitato una selezione di giovani artisti fino al 31 agosto, mentre, l’evento “Il meteorite in giardino” sarà ospitato fino al 16 novembre».
L’anima del progetto DC può essere esportabile nel territorio circostante trovando anche un’identità diversa da quella montana? « Tutto ruota nel trovare persone intelligenti, determinate e animate da intenti innovativi che generano a loro volta contesti propulsivi».
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Nuovo spazio di Casso – foto di Giacomo De Donà

 

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