La grande retrospettiva dedicata all’artista aprirà a Palazzo Cipolla, Museo del Corso – Polo Museale, il 17 ottobre
Geniale creatività insieme a rigore tecnico e provocazione, originalità e versatilità.
Sono i tratti distintivi della poliedrica personalità artistica di Salvador Dalì che si riflettevano oltre che nelle sue opere, anche nella sua immagine, con il suo modo di vetire elaborato e i suoi inconfondibili baffi all’insù.
Al celebre artista catalano è dedicata a Roma una grande retrospettiva a Palazzo cipolla, Museo del Corso – Polo Museale, dal 17 ottobre al 1 febbraio 2026.
L’esposizione “Dalì. Rivoluzione e Tradizione” arriva in concomitanza con la ricorrenza del centenario dalla prima mostra personale di Dalì.
L’universo Dalì dai primi anni alle sue ultime opere
Salvador Dalì (Figueres, Spagna 1904 – Figueres, Spagna 1989) è considerato uno dei massimi esponenti del Surrealismo, un movimento che esplorava il mondo del sogno, dell’inconscio, delle fantasie e dei desideri e ha lasciato un significativo patrimonio artistico. E’ stato un abile pittore e un virtuosissimo disegnatore, celebre per sue immagini suggestive e bizzarre, con il suo peculiare tocco, attribuito all’influenza che ebbero su di lui i maestri del Rinascimento. Il suo talento artistico gli ha permesso di esprimersi in molti ambiti, oltre che nell’arte anche nel cinema, nella scultura e nella fotografia, nella moda, nella scrittura e nel design. Le sue opere si distinguono per una tecnica pittorica iperrealista che rende vivide e quasi fotografiche le immagini oniriche e i simboli che crea. La retrospettiva “Dalì. Rivoluzione e Tradizione” esplora l’intero suo percorso creativo, dai primi anni alle sue ultime opere. A Palazzo Cipolla si potranno così ammirare oltre 60 lavori di Salvador Dalì tra dipinti e disegni, arricchite da materiali fotografici e video.
Un viaggio a 360 gradi nell’immaginario visionario dell’artista
L’obiettivo dell’esposizione, organizzata da MondoMostre e curata da Carme Ruiz Gonzales e Lucia Moni con la direzione scientifica di Montse Aguer, è quello di offrire ai visitatori la possibilità di esplorare in modo esaustivo la parabola artistica di Dalì. Attraverso le sue opere, provenienti dalla Fundacio Gala-Salvador Dalì oltre che da importanti istituzioni internazionali tra cui il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, il Museo Picasso di Barcellona e le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il pubblico rivive il suo percorso artistico, dalla sua adesione al Surrealismo alla creazione di un linguaggio del tutto originale, senza trascurare il suo interesse per la scienza, la letteratura, la filosofia e il cinema. Lo stile di Salvador Dalì è da lui stesso definito “paranoico critico”, un tentativo di esplorare il proprio inconscio e trasportarne le impressioni sulla tela. Agli occhi di chi la guarda, nella sua pittura si notano associazioni insolite di idee e immagini che la rendono surreale e straniante, dal fascino inquietante.
Il focus sull’arte e il suo rapporto con altri maestri del passato
La retrospettiva non manca di sottolineare il legame di Salvador Dalì con i grandi maestri del passato. Divisa in quattro sezioni, si concentra anche sugli artisti che maggiormente hanno plasmato la sua ricerca.
A partire dagli anni ’30 infatti dichiarò esplicitamente la sua volontà di “diventare un classico”, citando come modelli Velazquez, Vermeer e Raffaello. Vi è anche il legame con il contemporaneo Pablo Picasso, che incontrò a Parigi nel 1926, e con il quale ebbe un rapporto di stima, rivalità e confronto intellettuale molto vivo.
Lo stile di Dalì ha avuto un’enorme influenza, portandolo a collaborare con registi del cinema surrealista, una delle avanguardie del cinema francese degli anni venti del XX secolo, nel periodo tra il 1924 e il 1930 che oltre a lui ebbe come protagonista un altro spagnolo, Luis Bunuel. Con lui realizzò nel 1929 “Un chien andalou (Un cane andaluso)”, considerato una pietra miliare del cinema surrealista e successivamente, nel 1930, scrisse alcune scene di “L’ age d’or (L’età d’oro)”.
Silvia Bolognini