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LA CITTÀ CONTEMPORANEA

LA CITTÀ CONTEMPORANEA


Venezia qui ed ora sospesa tra passato e futuro, tra decadenza e progettualità. Una realtà che non affonda e che è invece viva, moderna e curiosa
Mia madre è un’instancabile viaggiatrice. Tutta la sua cultura – non avendo avuto la possibilità di frequentare a lungo la scuola – l’ha costruita così: viaggiando, guardando. Un giorno, mentre raccontava di una crociera sul Nilo, scherzando sulla sua età, le ho chiesto se allora il Museo Egizio si chiamasse ancora Museo dell’Arte Contemporanea. Non so perché mi viene in mente questo a proposito di Venezia in relazione all’arte contemporanea. Forse perché di Venezia è già stato detto e scritto tutto, ed è meglio riferirsi ai ricordi personali, diversi necessariamente per ognuno di noi. Forse perché Venezia stessa mi ricorda mia madre, con quell’aspetto elegante e curato nonostante tutto, e quelle crepe e rughe che nascondono ancora una grande vitalità e curiosità. O forse perché Venezia, come scriveva Pamuk, ci fa tornare un po’ bambini infondendoci ancora quella “voglia di vedere, di osservare, di vivere e rivivere la sua straordinaria bellezza come una sensazione visiva, senza più pensare alla sua storia”.
Ecco, Venezia, paradossalmente, non ha storia: è una città fuori dal tempo e per questo contemporanea da sempre. Scrive ancora Pamuk:  “Qui il primo stimolo che provo non è quello di capire o imparare, né di analizzare e pensare, ma quello di guardare, vedere, osservare…”. Ma non è in fondo questa rinuncia, o impossibilità a capire, l’essenza stessa del contemporaneo? Contemporaneo è un aggettivo generico che indica in definitiva un “work in progress”: è un surrogato di classificazione critica che semplicemente sanziona un dato di fatto e cioè che il periodo in oggetto non ha ancora esaurito le sue spinte propulsive e proprio per questo risulta di difficile definizione. Anche Venezia è difficile da definire appunto perché è contemporanea da sempre. Lo era dal punto di vista urbanistico nel V-VI secolo, quando si costituirono i primi insediamenti sulla laguna, il nucleo di una città “visionaria”, futuribile: una città sull’acqua. Lo era nella politica del IX secolo quando nacque la Repubblica veneta, la più lunga e duratura nella storia. E ancora nel XII secolo, in ambito produttivo, con l’Arsenale, l’esempio più importante di grande complesso a struttura accentrata dell’economia preindustriale, la prima fabbrica al mondo. Ed è stata, è, contemporanea da sempre nella cultura  e nell’arte, dagli influssi bizantini alle grandi stagioni del ‘500 e del ‘700 e su fino a quello che ancora oggi noi consideriamo contemporaneo, seppur sia passato ormai più di un secolo: è del 1895 la prima edizione della Biennale, il nucleo della cultura contemporanea a Venezia.
Tiziano Scarpa, scrittore veneziano, si è spinto oltre, immaginando Venezia – la Venezia “classica” – come il risultato di altrettante incursioni e installazioni di artisti contemporanei travestite da opere medievali, rinascimentali, barocche, settecentesche. “Festina lente”, affrettati lentamente, era il motto di un altro  grande veneziano,  uomo di “lettere” – nel vero senso della parola: Aldo Manuzio. “Festina lente”, affrettati lentamente,  potrebbe essere anche il motto di Venezia.  Perché Venezia è la metafora stessa della contraddizione, una città sospesa tra passato e futuro, tra decadenza e progettualità. Venezia è la città che sembra negare le conquiste primarie dell’uomo – il fuoco, la ruota non hanno diritto di cittadinanza a Venezia – eppure è una città che per il suo essere fuori dal tempo guarda inevitabilmente al futuro. E’ proprio la struttura stessa di Venezia ad essere duplice, quasi esistessero due città, una emersa ed una sommersa separate appunto da uno specchio d’acqua che segna – o meglio confonde – il confine tra la realtà e il sogno, inteso come visione, pronto ad emergere e venire alla luce, in una sorta di alluvione a rovescio, a dispetto di tutte le previsioni più o meno catastrofiche sul futuro.
Del resto, proprio un “futurologo” come Bruce Sterling, ha scritto che Venezia, paradossalmente, per aver una lunga tradizione di lotta alle maree alle spalle, sarà forse l’unica città che sopravviverà all’innalzamento degli oceani dovuto al surriscaldamento del pianeta. E non a caso, alcuni anni fa con Giorgio Camuffo, abbiamo realizzato un libro che si intitolava significativamente “Venezia non sta affondando”, chiamando alcuni giovani scrittori e videomaker a raccontare il presente e immaginare il futuro di questa città. Venezia non sta affondando, né fisicamente né culturalmente, e ne sono la prova le molte iniziative e istituzioni – tra cui la Fondazione Claudio Buziol che rappresento – che proprio in questo momento stanno contribuendo a fare invece di Venezia una città viva, moderna, curiosa, contemporanea. C’è una parola in inglese che mi ha sempre affascinato, forse perché è parte del titolo di una delle canzoni più belle dei Beatles, Nowhere Man, che è un inno stesso all’utopia. Nowhere, significa in nessun luogo, ma è sufficiente cambiare lo spelling perché No where diventi Now, Here. In nessun luogo: qui ed ora, appunto, come Venezia, il luogo della contemporaneità.
DI RENZO DI RENZO*
*DIRETTORE ARTISTICO FONDAZIONE CLAUDIO BUZIOL

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Tag:  arte, futuro, Venezia