Per la quinta volta consecutiva la Bce taglia i tassi, allentando ancora la politica monetaria. Restano però le difficoltà di crescita dell’economia
Chi sta pagando le rate di un mutuo a tasso variabile può tirare un nuovo sospiro di sollievo.
Anche se il tasso fisso resta ancora più conveniente, il trend al ribasso dell’Euribor, riferimento per gli interessi dovuti su quelli variabili, continua grazie al nuovo taglio dei tassi deciso dalla Bce. Nella riunione del Consiglio direttivo del 6 marzo 2025 è stato infatti deciso di portare, con effetto dal 12 marzo, quello sui depositi presso la Banca centrale al 2,5%, quello sulle operazioni di rifinanziamento principali al 2,65% e quello sui rifinanziamenti marginali al 2,9%, con una riduzione di 25 punti base.
L’allentamento della politica monetaria della Bce
Per la quinta volta consecutiva, la Bce ha dunque scelto di rendere sensibilmente meno restrittiva la politica monetaria, che ha visto scendere il costo del denaro in Europa di 1,25 punti base dallo scorso settembre a oggi. “Le riduzioni dei tassi di interesse – sottolinea il comunicato ufficiale della Banca Centrale Europea – rendono meno onerosi i nuovi prestiti a imprese e famiglie e il credito accelera”, per quanto, al momento, “il volume dei prestiti resta nel complesso contenuto”.
La decisione, si spiega, “scaturisce dalla valutazione aggiornata delle prospettive di inflazione, della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria”. E se gli esperti non escludono ulteriori tagli dei tassi, forse ancora di un ulteriore mezzo punto di qui a fine anno, al tempo stesso la Bce ha espressamente chiarito che “definirà l’orientamento di politica monetaria adeguato seguendo un approccio guidato dai dati, in base al quale le decisioni vengono adottate di volta in volta a ogni riunione”. In altri termini, la scelta è stata quella di non vincolarsi a un particolare percorso dei tassi.
Il peso dell’inflazione
Le decisioni del Consiglio direttivo sui tassi di interesse continueranno a basarsi in particolare sull’andamento dell’inflazione. Riguardo alla quale la Bce afferma che “il processo disinflazionistico è ben avviato”. Le attese degli esperti indicano infatti un’inflazione media complessiva al 2,3% nel 2025 (riflettendo una “più vigorosa dinamica dei prezzi dell’energia”), all’1,9% nel 2026 e al 2% nel 2027.
L’obiettivo, a medio termine, è quello di attestarsi al 2% e c’è fiducia nelle possibilità di raggiungerlo, per quanto la Bce ammetta che l’inflazione interna resta elevata, in particolare per l’andamento di prezzi e salari, anche se “la crescita delle retribuzioni si sta moderando secondo le attese”.
Le difficoltà dell’economia
Nell’analisi della Bce, il principale nodo critico restano le perduranti difficoltà dell’economia, che hanno spinto gli esperti a correggere nuovamente al ribasso le proiezioni di crescita, ora attestate allo 0,9% per il 2025, all’1,2% per il 2026 e all’1,3% per il 2027. Sulla revisione al ribasso per l’anno corrente e per il prossimo, si precisa quindi, incidono in particolare la diminuzione delle esportazioni e la continua debolezza degli investimenti, ma anche l’elevata incertezza sulle politiche commerciali e su quelle economiche più in generale. La cosiddetta “guerra dei dazi”, innescata dalle decisioni dell’Amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, potrebbe infatti innescare ulteriori spinte inflazionistiche. E lo stesso piano di riarmo da 800 miliardi di dollari annunciato dalla Commissione Europea potrebbe avere il medesimo effetto.
Alberto Minazzi