L’allarme lanciato dal rapporto della Società Geografica Italiana. Entro fine secolo, la percentuale di litorale sommerso può arrivare al 45% delle coste attuali
Dici “acqua alta” e pensi subito a Venezia.
Ma l’innalzamento dei mari legato ai cambiamenti climatici, unito all’erosione delle coste, rischia di rendere presto attuale il problema della sottrazione di parte della terraferma da parte del mare non solo nelle zone costiere cosiddette anfibie, come la Laguna veneta o il Delta del Po, bensì su buona parte dell’Italia che vi si affaccia.
Il nostro Paese, infatti, rischia di perdere, per di più in tempi molto brevi, una quota rilevante delle proprie attuali spiagge. A lanciare l’allarme è il 17° rapporto “Paesaggi sommersi. Geografie della crisi climatica nei territori costieri italiani”, appena presentato dalla Società Geografica Italiana, che quantifica nel 20% la quota di spiagge che potrebbero sparire addirittura entro il 2050, con una percentuale destinata poi a salire fino al 45% entro fine secolo.

Le coste italiane maggiormente a rischio
I circa 7.914 km di coste, che ci collocano al 14° posto assoluto al mondo in una classifica guidata da un grande Paese come il Canada e da uno Stato insulare (e comunque con una superficie 6 volte maggiore dell’Italia) come l’Indonesia, costituiscono un fondamentale patrimonio naturale italiano, con importantissime ricadute anche sul piano economico, richiamando milioni di turisti ogni anno, anche perché il 57% del totale dei posti letto turistici sono offerti proprio nei comuni costieri. Il report indica proprio l’Alto Adriatico come la parte del nostro Paese sulla quale grava maggiormente il rischio di perdere km di costa.
Per quanto riguarda le spiagge, a livello regionale le perdite quantitativamente più elevate potrebbero invece verificarsi in Sardegna, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Campania. Ma, sia pur in maniera leggermente meno rilevante, le prospettive sono indicate dalla Società Geografica Italiana come tutt’altro che rosee anche per altre aree, a partire dalla costa pugliese intorno al Gargano, da diversi tratti della costa tirrenica tra la Toscana e la Campania e dalle aree di Cagliari e Oristano.

A rischio non solo le spiagge
Il rapporto si concentra sull’impatto che la crisi climatica potrebbe avere sui territori e sui paesaggi costieri italiani, considerando congiuntamente aspetti e dinamiche ambientali, sociali, economiche e politiche. Tra i dati-chiave sottolineati nel corso della presentazione del report nella sede di Palazzetto Mattei, a Roma ci sono per esempio le stime inedite secondo cui sono 800mila le persone che vivono in litorali urbanizzati che rischiano di trovarsi sotto il livello che potrebbe raggiungere il mare nei prossimi anni, con la necessità di essere ricollocati altrove o, in alternativa, protetti da difese costiere artificiali sempre più pervasive. E le barriere artificiali, che ormai proteggono oltre un quarto delle coste basse, oltre ad aggravare l’erosione e la vulnerabilità delle stesse coste saranno sempre più costose e meno efficaci. Anche la metà (2.250 km) dei porti e delle infrastrutture connesse rischiano di essere pesantemente compromesse, così come diversi aeroporti.
Quanto ai terreni agricoli costieri, stanno sempre più accelerando i processi di salinizzazione: basti pensare che già nell’estate 2023 il cuneo salino ha risalito il Delta del Po per più di 20 km, mettendo a rischio anche la disponibilità di acqua potabile.

Le cause che ci hanno portato a questo punto
A rischio risultano anche buona parte delle paludi, delle lagune e delle zone costiere cosiddette anfibie. E, relativamente alle aree protette, cruciali per la biodiversità dal momento che tutelano il 10% delle acque e delle coste italiane, il rapporto denuncia come raramente dispongano di un piano di gestione adeguato. Tra le cause che hanno contribuito a creare questa situazione di rischio elevato spiccano però soprattutto i dati sull’artificializzazione costiera, visto che è proprio questa fascia la zona dell’Italia dove, senza aver registrato frenate sul consumo di suolo, è più elevata la quota di suolo artificiale e urbanizzato ma è anche un’area dove il consumo di suolo prosegue incessante. Più precisamente, illustra il report, quasi un quarto del territorio entro i 300 metri dalla costa è coperto da strutture artificiali, con picchi allarmanti in Liguria (47%) e nelle Marche (45%). “Bonifiche, urbanizzazione, infrastrutturazione, abusivismo: abbiamo trasformato la fascia costiera, un ambiente dinamico e instabile, in una linea di costa rigida e quindi fragile e vulnerabile” ha ammonito Stefano Soriani, professore di Geografia economico-politica all’Università Ca’ Foscari Venezia tra i redattori del rapporto.
Alla ricerca delle soluzioni
“Cerchiamo – puntualizza il presidente della Società Geografica Italiana, Claudio Cerreti, nella riflessione sulle possibili opportune alternative di riconfigurazione dei paesaggi costieri italiani – di non alimentare allarmismi e catastrofismi. Al contrario, proviamo a proporre ai decisori politici un quadro equilibrato e, su quella base, possibili interventi di mitigazione dei problemi”. La crisi climatica viene infatti definita dalla Società un “moltiplicatore di stress”, che rende i problemi ancora più gravi, sia dal punto di vista ambientale sia da quello socioeconomico. “L’unica alternativa – conclude un altro redattore del report, Filippo Celata, professore di Geografia economica e politica all’Università di Roma La Sapienza – è fare il contrario di quanto fatto fin qui: rinaturalizzare i litorali, per sfruttare la loro capacità di adattamento. Un percorso irto di ostacoli socio-politici, oltre che strutturali ed economici”.
Alberto Minazzi



