Uno studio ha approfondito l’incidenza di vari fattori nella fermentazione delle fave di cacao, suggerendo metodi per rendere il prodotto finale più saporito o per creare nuovi gusti
A parte alcune (rare) eccezioni, è difficile dire di no quando ci viene offerto un cioccolatino. Come per ogni cibo, anche di cioccolato ne esistono però moltissime versioni, di varie qualità, con differenze a volte marcate: non solo dal punto di vista nutrizionale, ma ancor prima per quanto riguarda semplicemente il gusto percepito dal nostro palato. Ma cosa rende il cioccolato più o meno buono? Alla domanda ha provato a dare una risposta un team internazionale di ricercatori, che ha appena pubblicato sulla rivista Nature Microbiology le conclusioni a cui è arrivato sulla base di uno studio incentrato sul processo di fermentazione delle fave di cacao. Risultati che, spiegano, potrebbero essere applicati non solo per aumentare la qualità del prodotto finale, ma anche per creare in futuro interessanti nuovi sapori per un alimento che non passa mai di moda.
Il ruolo dei microbi per un cioccolato di qualità
La fermentazione è fondamentale per definire il sapore nel processo di produzione di numerosi alimenti e bevande. Tra gli altri, è il primo anche nella lunga serie di passaggi che porta alla progressiva trasformazione del prodotto agricolo della fava di cacao fino a quello finale del cioccolato messo in commercio. È infatti già a questo livello che si forma e si esalta il profilo aromatico del cacao, attraverso le “note” fruttate, nocciola o terrose ben conosciute dagli intenditori. E il sapore, hanno potuto confermare la tesi di partenza i ricercatori partendo dall’analisi di fave di cacao raccolte in una fattoria nel distretto colombiano di Santander, è influenzato da una serie di fattori. Tra questi il pH e la temperatura dell’ambiente, che condizionano le interazioni tra batteri e funghi e aiutano a spiegare le differenze regionali anche a livello di qualità del cioccolato. Ma fondamentale risulta anche la composizione del microbiota coinvolto nel processo di fermentazione.
Quando i microbi contano più della genetica
Per escludere dai fattori che incidono sul sapore il genotipo delle piante è stato quindi fatto effettuare a un gruppo di assaggiatori professionali un confronto del cacao di Santander con i campioni provenienti da altre 2 regioni della Colombia, Huila ed Antioquia, in cui il background genetico delle piante è simile. E, nei “liquori” di cacao prodotti con le fave fermentate, gli esperti hanno riscontrato attributi di sapore simili (note di noci tostate, bacche mature e caffè) tra i prodotti di Santander e Huila, mentre il liquore di Antioquia risultava più semplice e amaro. Nel contempo, dall’analisi delle diverse condizioni di fermentazione sono emersi chiaramente i collegamenti tra diverse specie di comunità microbiche e profili di sapore, per esempio con una forte associazione tra attributi aromatici del cioccolato più fine e i generi fungini Torulaspora e Saccharomyces.
Intervenire sulla fermentazione per modificare il gusto
A differenza di quanto avviene per esempio nella produzione di altri cibi come formaggi, vini e birra, nel processo di fermentazione del cacao non è prevista l’aggiunta di lievito o altri microrganismi esterni. Pensare di modificare un processo esclusivamente naturale attraverso un intervento umano di manipolazione delle comunità microbiche, suggeriscono però gli studiosi, è però un’idea che non solo permetterebbe un maggior controllo, ma anche potrebbe aumentare la qualità e variare le caratteristiche del cacao. In tal senso, i ricercatori hanno provato a replicare in laboratorio un ambiente ideale per la fermentazione, progettando a tavolino le caratteristiche che vi influiscono. E, utilizzando le comunità microbiche sintetiche di batteri e funghi, sono riusciti a riprodurre alcuni attributi di sapore, come confermato dallo stesso gruppo di assaggiatori coinvolti nel precedente test.
Alberto Minazzi