Tra interni aristocratici, lampadari maestosi e pianeti floreali, l’artista veneziano racconta una ricerca pittorica fatta di profondità percettive e cromatismi intensi. Un dialogo tra memoria, immaginazione e bellezza che si trasforma in linguaggio visivo
Rosso, magenta, arancione, blu verde. Colori complementari e contrastanti caratterizzano che mescolano invenzione e realtà, esperienze vissute o fantasticate abilmente composte in una serie di elementi – decifrabili ma appena distinguibili – caratterizzati da un personale cromatismo carico di forza espressiva.
E’ l’arte di Fabio Bianco, artista veneziano, nato a Mirano nel 1971 che definisce campi di colore saturi e sfocati, giocando con la percezione della profondità.
Il suo linguaggio pittorico denso di colore e luce trova si manifesta negli scenari teatrali e negli interni privati di palazzi aristocratici e ambienti lussureggianti. Si vedono così tele fiorite, universi con stelle, antichi lampadari.

La passione per l’arte – spiega Fabio Bianco – è praticamente nata con me. Amo i colori e di solito dipingo all’aperto, perché la luce naturale li definisce meglio ma talvolta scelgo il bianco e nero per le opere che nascono dalla realtà quotidiana e da suggestioni. Lavoro quotidianamente realizzando oli su tela, acrilici su tela o utilizzando foglia d’oro”.
Diplomatosi nel 1995 all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ha approfondito la ricerca sugli esiti della luce riflettente negli spazi interni, con attenzione agli elementi architettonici, ha proseguito i suoi studi successivamente al Politecnico di Valencia. E ha dato vita ai suoi mondi sospesi, dove il colore diventa pensiero positivo e forma di racconto.
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Fabio Bianco, come nascono le sue opere ?
Le mie opere nascono da immagini a volte reali, a volte immaginarie, o da una fusione delle due. Nella serie dell’illusione di fiori, è il colore a guidare la creazione: il dipinto prende forma man mano, in un processo spontaneo alla ricerca di nuove tonalità.
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Temi ricorrenti sono appunto i motivi floreali e pianeti fluttuanti, qual è il loro significato simbolico?
Negli ultimi anni, la mia ricerca personale mi ha portato a dipingere astrazioni di fiori, o pianeti composti unicamente da fiori, immaginando un universo lontano e surreale.

Per arrivare a questo linguaggio, c’è stato un processo evolutivo iniziato con i primi dipinti realizzati tra il 1995 e il 2007. Le opere che in quel periodo mi affascinavano maggiormente erano gli interni di grandi palazzi, illuminati da maestosi lampadari pieni di luce, come se fossero scene di un film ancora senza attori. Successivamente, ho sentito il bisogno di volgere lo sguardo verso l’esterno: ho iniziato così a osservare i fiori e i loro colori, lasciandomi ispirare dalla loro delicatezza e dalla forza simbolica che portano con sé.
Mi piace molto seguire l’idea di pensiero positivo attraverso i colori, così come lo descriveva il filosofo Jung, il pensiero positivo come atteggiamento. In questo contesto, il pensiero positivo non è una negazione ottimistica della realtà, ma un atteggiamento interiore che favorisce la crescita e il cambiamento. Non si tratta di ignorare gli aspetti negativi, ma di affrontarli e trasformarli, vedendo nelle sfide delle opportunità per evolvere.
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Che linea segue il suo linguaggio pittorico?
Colore, rifrazione, movimento e profondità: questi sono i principi guida che seguo.
Mi piace dipingere in grandi formati per coinvolgere lo spettatore e farlo sentire immerso nell’opera. Sono sempre stato attratto dalla pittura monocromatica di artisti, a esempio, come Ad Reinhardt, pittore statunitense, o Ettore Spalletti, pittore italiano, anche se il loro linguaggio è molto lontano dal mio modo di dipingere.

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Le bolle di sapone che trasportano mondi in miniatura sono un’immagine affascinante: da dove nasce quest’idea e che cosa rappresentano questi micro universi?
Le bolle di sapone aggiungono riflessi, trasparenze e movimento al dipinto.
Rappresentano un pensiero in divenire, qualcosa che sta per arrivare ma non è ancora del tutto definito nella mente.
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Ci sono oggetti che sono diventati una sorta di firma visiva nelle sue opere, gli antichi lampadari. Che cosa rappresentano e per quale motivo li ritiene così iconici?
Nei dipinti che raffigurano grandi lampadari in palazzi maestosi, mi ha sempre affascinato il riflesso della luce sul pavimento e negli specchi. Un’immagine ricorrente è quella della Sala degli Specchi di Versailles, ma mi piace anche immaginare palazzi ideali, frutto della mia fantasia. In questo ciclo di opere, il lampadario è diventato l’elemento predominante, moltiplicandosi nella scena fino a culminare, simbolicamente, in un’opera in cui il lampadario cade a terra e si rompe, segnando la fine della serie.
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La sua arte è spesso descritta come un ponte tra realismo e surrealismo, un confine che sceglie di superare?
Non ho la volontà di superare il confine tra realtà e surrealismo; mi piace, piuttosto, trovare il surreale nella realtà.
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Le sue opere evocano atmosfere oniriche e fiabesche: con un preciso motivo?
Il motivo è rendere tutto leggero e piacevole, offrendo uno spunto per una riflessione personale, senza imporre il mio pensiero, ma lasciando spazio all’immaginazione.
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Come sceglie gli spazi da rappresentare e che funzione hanno all’interno della narrazione visiva?
Gli spazi che rappresento nascono da un’attenta osservazione di ciò che vedo. Li fermo nella mia mente, li elaboro, finché non prendono forma un’immagine ideale, equilibrata nella composizione e nel colore.
Cerco sempre che sia contemporanea, con uno sguardo rivolto a un futuro prossimo, ma allo stesso tempo consapevole della storia, sia recente che più lontana.
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Come si intrecciano storia, moda e tempo nei suoi lavori?
Mi piace molto viaggiare e scoprire il contemporaneo, cercando di analizzare le origini del presente.
Vedo la moda come una forma d’arte attuale, capace di attingere all’arte e, al tempo stesso, di esserne influenzata. Non sono particolarmente legato alle tradizioni, pur riconoscendone l’importanza, ma mi sento più incline ad accogliere il cambiamento.
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Ci sono opere che nel corso della sua carriera ritiene più rappresentative della sua arte? Come guarda al suo futuro artistico?
Non ci sono opere in particolare che ritengo più rappresentative; parlerei piuttosto di cicli di dipinti, come quelli degli Interni, dei Lampadari o delle composizioni floreali, arricchite da riflessi di luce e vibrazioni cromatiche. Forse è proprio a quest’ultimo ciclo che sono particolarmente legato, perché mi offre una piena libertà espressiva, non condizionata da strutture architettoniche.
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Se dovesse definirsi in poche parole: chi è oggi Fabio Bianco?
Un artista italiano che dipinge con metodo, in una ricerca continua di contemporaneità. Non resta ancorato a un’unica idea, ma coltiva la volontà di evolversi, di apprezzare il momento, ascoltare la natura e il silenzio.
Silvia Bolognini