Un frammento di RNA e il metabolismo a un carbonio aprono la strada a nuovi marcatori precoci e terapie per la malattia che colpisce oltre 600 mila italiani
Allungare le prospettive di vita ha una serie di rovesci della medaglia.
In una popolazione che invecchia, per esempio, aumenta il numero di persone colpite da forme di demenza, di cui la malattia di Alzheimer è la più diffusa.
Se, nel mondo, si parla di oltre 55 milioni di casi, con una proiezione che indica il raggiungimento di quota 78 milioni entro il 2030, in Italia l’Osservatorio delle demenze stima che, anche in questo caso con prospettive di un continuo e significativo aumento negli anni a venire, sia già stata superata la soglia di 1,1 milioni di malati di demenza, di cui 600 mila di Alzheimer.
Una malattia dovuta a molteplici fattori, con un importante ruolo giocato anche dall’epigenetica, ovvero le modifiche dell’espressione dei geni, pur senza che venga alterata la sequenza del Dna. In questa prospettiva, ai fini dell’influenza sulle diverse vie patologiche conta dunque anche come i geni vengono “accesi” o “spenti”. E, al riguardo, importanti novità arrivano dalle scoperte effettuate da un team di ricercatori della Sapienza Università di Roma, attraverso studi i cui risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista di riferimento del settore “Alzheimer’s & Dementia”.
Gli interruttori genetici che incidono sull’Alzheimer
La principale dimostrazione ottenuta dal gruppo di scienziati del Dipartimento di Medicina sperimentale e del Centro di ricerca in Neurobiologia “Daniel Bovet”, riportata nello studio intitolato “Il metabolismo a un carbonio modula la diafonia di metilazione miR-29a-Dna nella malattia di Alzheimer” è proprio l’impatto delle reazioni chimiche che si verificano all’interno del nostro corpo sulla regolazione degli interruttori genetici.
Al centro degli esperimenti svolti è stato preso in considerazione un piccolo frammento di Rna, messaggero di controllo di un gene che produce una proteina nociva coinvolta nell’accumulo di beta-amiloide nel cervello, considerato l’evento più rilevante dell’Alzheimer. Si è allora provato a modificare, in cellule nervose e in topi con la malattia, il metabolismo a un carbonio, aggiungendo una sostanza, la S-adenosilmetionina (Sam), che ne favorisce il funzionamento aggiungendo “etichette chimiche” al Dna, oppure togliendo vitamine del gruppo B, che aiutano queste reazioni. Ed è emerso che quando questo particolare metabolismo funziona bene, aumenta il livello del piccolo pezzo di Rna chiamato miR-29a e, di conseguenza, si produce e si accumula meno beta-amiloide. Al contrario, se il sistema non va, il cervello può andare incontro a problemi come quelli che vediamo nell’Alzheimer.
Le prospettive che si aprono
“Questa scoperta è come aver trovato la chiave di lettura di un processo di cui prima vedevamo solo il risultato finale – spiega il Prof. Andrea Fuso, coordinatore dello studio -. Abbiamo capito che la cellula non usa un solo interruttore, ma un pannello di controllo integrato in cui DNA e microRNA comunicano per regolare finemente un processo vitale, la cui alterazione è associata alla malattia. Questo è fondamentale per approcciare una patologia fortemente multifattoriale. È una svolta nella comprensione dei complessi meccanismi biomolecolari dell’Alzheimer”.

Grazie alla scoperta di questo dialogo molecolare tra due meccanismi, la metilazione del Dna e i microRna, che regolano l’espressione dei nostri geni, miR-29-a potrebbe dunque diventare in prospettiva un marcatore precoce dell’Alzheimer, misurabile anche nel sangue attraverso un semplice esame. E, a fronte dell’inefficacia negli studi clinici mostrata fin qui dai farmaci per l’eliminazione delle placche di beta-amiloide, si può inoltre pensare di agire su miR-29a per curare, rallentare o prevenire la malattia, aumentando con molecole mirate la quantità del frammento di Rna, da considerarsi come un vero e proprio farmaco epigenetico. In alternativa, potrebbe risultare utile per la protezione del cervello anche un miglioramento indiretto del metabolismo a un carbonio (per il quale si suppone un ruolo centrale anche in altri problemi tipici dell’Alzheimer come infiammazione, stress ossidativo o alterazioni di tau) attraverso la dieta o integratori specifici contenenti vitamine del gruppo B, oppure attraverso la somministrazione diretta di Sam.
Alberto Minazzi