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Figli non riconosciuti: quel “cordone ombelicale” che non finisce mai

Figli non riconosciuti: quel “cordone ombelicale” che non finisce mai

C’è, al mondo, un legame più forte di quello che lega una madre al proprio figlio?
Forse sì: quello che lega un figlio alla propria madre.
Perché, per fortuna in casi rarissimi, possono esserci anche madri incapaci di provare un vincolo d’affetto nei confronti della creatura che hanno dato alla luce.
Ma è pressoché impossibile che un figlio non senta il collegamento con il proprio genitore naturale.
“È un imprinting magico meraviglioso: un figlio non giudica mai la propria mamma, ma la ama sempre. È una lezione di umanità che non possiamo spiegare scientificamente ma dalla quale dovremmo imparare molto”, conferma lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet.

Paolo Crepet
Paolo Crepet

I bambini non riconosciuti alla nascita

Secondo i dati dei tribunali dei minori sulle dichiarazioni di adottabilità, ogni anno sono in media circa 400 i bambini non riconosciuti alla nascita. Un dato cresciuto negli ultimi anni e ulteriormente aumentato con la pandemia, dopo aver fatto registrare un forte ridimensionamento in seguito ai picchi di circa 5000 bambini negli anni ’50 del secolo scorso.
Ma i 400 bambini non riconosciuti in ospedale, con il parto in anonimato consentito dal DPR 396 del 2000, sono solo la punta dell’iceberg. Aibi, l’Associazione Amici dei Bambini,  stima infatti, sulla base degli ultimi dati della Società italiana di neonatologia (del 2012), che siano circa 3000 ogni anno i bambini partoriti di nascosto in luoghi non sicuri e poi lasciati tra i rifiuti o lungo le strade.

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Le culle per la vita: il primo taglio di un cordone che non si stacca

Per provare a contenere il fenomeno, da qualche anno sono state lanciate le “culle per la vita”.
Si tratta di punti presidiati in cui il bambino non voluto può essere depositato in una botola riscaldata e con chiusura di sicurezza, all’interno della quale un sensore segnala la presenza del neonato al personale sanitario.
L’anonimato del genitore è garantito, così come la pronta assistenza al bambino. Ma a oggi sono solo una cinquantina le culle attive in tutta Italia, con molte parti del territorio ancora scoperte.
In ogni caso, a esser consegnati in queste culle sono i bambini più fortunati: quelli che, poi, saranno adottati da nuove famiglie.
Eppure, prima o dopo, la vita li mette di fronte alla fatidica domanda: “chi è mia mamma?”

Il perdono oltre l’abbandono

C’è infatti un vincolo innato che porta i figli alla ricerca dei propri genitori.
A prescindere dal perché li abbiano abbandonati, dalle ragioni che possono spiegare il destino delle loro vite, anche se sono spesso molto arrabbiati, i figli perdonano. E fanno di tutto pur di arrivare a conoscerli.

“Al figlio che è stato abbandonato non importa assolutamente “chi” sia sua madre e cosa abbia fatto, anche nei suoi confronti – rileva Paolo Crepet –  È un legame del tutto spontaneo, capace di andare al di là di ogni altra considerazione. E la domanda di rito, che in genere arriva durante l’adolescenza, rappresenta un diritto che ognuno di noi ha: conoscere le proprie radici“.
Per questo, chi sceglie di effettuare un’adozione, o di avere un figlio ad esempio attraverso un utero in affitto, deve sapere che prima o poi questo momento si presenterà. “Il consiglio che do a chi sta pensando di adottare un bambino – conclude Crepet – è quello di dirgli fin da subito la verità, perché prima o poi verrà fuori. E se questo avviene troppo avanti, rischia di generare molti problemi. Non c’è una risposta univoca su come ci si deve comportare ma la mia speranza è che i genitori adottivi non ostacolino mai ai propri figli questa ricerca delle origini, che come abbiamo visto è istintiva e più forte di tutto il resto”.

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Quando il legame riserva delle sorprese

Nei mesi scorsi, le cronache hanno riportato una triste storia che conferma come i figli siano istintivamente predisposti a perdonare anche decisioni estreme, come quella di una madre di non riconoscerli.
Nello specifico, un’infermiera comasca di 47 anni è riuscita a risalire all’identità della propria madre naturale, che l’aveva abbandonata tanti anni prima, chiedendole di mettere a disposizione, pur mantenendo l’anonimato, la propria mappa genetica, necessaria per una cura antitumorale.
La risposta inizialmente negativa della madre, che ha affermato come fosse troppo doloroso ricordare quel periodo della propria vita, ha sgomentato. Un conflitto tra diritto alla privacy e diritto alla salute che ha acceso il dibattito, prima che la genitrice naturale decidesse di fare un passo indietro. Ma che non ha mai messo la figlia, sia pur in una situazione tanto difficile, contro la madre, che alla fine è stata ringraziata pubblicamente. Non sempre i figli danno tutto per scontato.

L’inspiegabile gesto di una madre

Di fronte al disperato bisogno di riconoscere un volto, un nome, di conoscere la propria storia familiare, non sempre c’è un accoglimento a braccia aperte. Chi è fuggito per tutta la vita a volte continua a fuggire.
Neppure il lieto fine di questi incontri, sia pur dopo un abbraccio, sono scontati.
Com’è accaduto all’infermiera che attraverso appelli in rete e in televisione ha cercato la propria madre naturale fino a ritrovarla per sentirsi dire all’inizio un brutale “no”.
“Un orrore egocentrico, una deprecabile follia – commenta Crepet -Ognuno di noi ha avuto esperienze che non vuole ricordare. Ma quando c’è di mezzo la vita di un altro, per di più che hai messo al mondo tu, una decisione come questa non ha nulla di civile. La genitorialità non scade come uno yogurt.” E vien da chiedersi se sia sempre giusto che prevalga il diritto all’anonimato delle madri di fronte alle esigenze dei figli che non hanno riconosciuto.

I bambini invisibili

Quanti sono davvero i bambini non riconosciuti e i bambini abbandonati in Italia?
Se il numero dei primi si riesce a ricostruire, diventa quasi impossibile definire quello dei secondi.
Secondo Aibi, l’Associazione amici dei bambini, in materia mancano sufficienti dati certi, se non il report mensile dei minori stranieri non accompagnati in Italia del Ministero del Lavoro. Approssimativamente potrebbero essere più di tremila. Troppi. E’ per questo che uno dei principali temi sui quali lotta l’associazione sta portando avanti le proprie battaglie è proprio l’attivazione di monitoraggi, anche sugli istituti per i minori, sia a livello italiano che mondiale.
A gennaio, intanto, è stata presentata alla Camera la proposta di una legge delega in materia di affido per l’istituzione di una banca-dati nazionale. I bambini invisibili restano invisibili nei numeri. Ma non sono numeri e prima o poi arriveranno alle fatidiche domande: “Chi è mia mamma?” “Quali sono le mie origini?” Chi sono io?”. Non possono restare senza risposte.

Alberto Minazzi

 

 

 

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Tag:  bambini