Salute +

Fibrosi polmonare: in arrivo un farmaco che funziona

Fibrosi polmonare: in arrivo un farmaco che funziona
Luca Richeldi, ordinario di Malattie dell'apparato respiratorio Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore Uoc Pneumologia Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma

Presentati a San Francisco i promettenti risultati degli studi di “fase 3” coordinati dal direttore di Pneumologia del “Gemelli” di Roma, che sta approfondendo anche le basi genetiche della malattia

Perché i polmoni possano svolgere la propria funzione, che permette lo scambio di ossigeno e anidride carbonica nel sangue, il loro tessuto deve essere elastico. Questi organi fondamentali, però, possono diventare più rigidi a causa di una progressiva cicatrizzazione che, tecnicamente, viene chiamata fibrosi polmonare. Una patologia che si stima colpisca 750 mila persone in Europa, soprattutto uomini, e tra le 30 e le 50 mila in Italia. E che, insieme alla prognosi di vita ridotta (dai 3 ai 5 anni dalla diagnosi), presenta soprattutto 2 problemi. Il primo, ancora irrisolto, è l’irreversibilità degli effetti prodotti dalla malattia, perché non si può parlare di “guarigione”, visto che non è possibile far regredire il danno già provocato ai polmoni. Per il secondo, ovvero la disponibilità di farmaci per ritardarne la progressione, ci sono invece importanti novità.

Ok alla “fase 3” nei test sul nuovo farmaco per la fibrosi polmonare

Grazie agli sviluppi della ricerca, nell’ultimo decennio è stato possibile produrre diversi potenziali farmaci per la fibrosi polmonare, ma finora lo sviluppo di tutti si era fermato dopo il mancato superamento delle fasi “2” e “3” dei test. Un traguardo che, adesso, è stato però raggiunto dal “nerandomilast”, un inibitore selettivo di alcuni enzimi somministrabile per via orale. L’aggiornamento dei risultati è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine e, contemporaneamente, presentato al congresso dell’American Thoracic Society a San Francisco. Nello specifico, si tratta di due studi di “fase 3”, che hanno visto in prima linea uno dei principali esperti di questa malattia: l’italiano Luca Richeldi, ordinario di Malattia dell’apparato respiratorio all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uoc di Pneumologia della Fondazione Policlinico universitario A. Gemelli Irccs di Roma. “La pubblicazione di questi due studi – commenta – rappresenta un passaggio epocale, perché apre a una nuova generazione di farmaci per questi pazienti, che hanno avuto finora a disposizione opzioni terapeutiche molto limitate”.

tac
Tac ai polmoni

I vantaggi della nuova terapia

L’innovativa terapia ha mostrato effetti collaterali (prevalentemente diarrea) minori rispetto ai farmaci precedenti (come il nintedanib, attuale anti-fibrotico di riferimento per questa malattia, o il pirfenidone), con i quali però può essere combinato. Il risultato più significativo è però che, usato da solo, il nerandomilast si è dimostrato chiaramente efficace tanto per la fibrosi polmonare idiopatica, cioè di cui non si conosce ancora esattamente il meccanismo che ne sta alla base, che per le fibrosi progressive secondarie, come quelle legate a patologie autoimmuni, da esposizione o da farmaci. Ovvero per due malattie finora considerate molto diverse tra loro. Il primo studio, di cui Richeldi è primo autore, ha documentato la riduzione della progressione della malattia idiopatica di oltre il 50% nell’arco delle 52 settimane in cui sono stati seguiti i risultati su un campione di 1.177 pazienti randomizzati. Dal secondo studio, dedicato alle fibrosi secondarie, è stata dimostrata anche una riduzione della mortalità. Tra gli altri importanti risultati sottolineati da Richeldi, il ritardo dell’inizio ossigeno-terapia, impiegata nei trattamenti in quanto necessaria per alleviare i sintomi e migliorare la qualità della vita, ma al tempo stesso estremamente invalidante per i pazienti.

Verso una diagnosi sempre più precoce

“Il prossimo step a cui stiamo lavorando – fa il punto l’esperto – sarà uno studio della durata di 2 anni in pazienti con la forma più precoce di malattia, per capire se trattare la malattia in fase preclinica o subclinica con nerandomilast possa rallentarne ulteriormente la progressione e addirittura prevenire l’emergenza dei sintomi della fibrosi polmonare”. Non esistendo una terapia definitiva per la forma idiopatica, la diagnosi precoce è infatti fondamentale, pur restando ancora molta la strada da fare nella ricerca per individuare le cause precise della malattia e i biomarcatori che ne indicano la presenza dei relativi presupposti. In tal senso va anche lo studio “Genesi”, varato da qualche mese dalla Fondazione Gemelli con l’Università di Catania, che seguirà per 24 mesi 200 malati di fibrosi idiopatica e 400 loro familiari di primo grado. Si proverà in tal modo a individuare i possibili aspetti genetici alla base della componente di rischio familiare riconosciuta in questa malattia, che deriva dall’interazione tra geni e ambiente, con fumo di sigaretta, esposizioni ambientali e reflusso gastro-esofageo come principali fattori di rischio. Un sotto-studio del progetto si baserà inoltre sui risultati dell’auscultazione del torace con stetoscopi elettronici, utilizzando anche l’intelligenza artificiale, nella prospettiva di una eventuale nuova modalità di screening, a basso costo e senza le radiazioni della Tac.

Alberto Minazzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il campo nome è richiesto.
Il campo email è richiesto o non è corretto.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Tag:  polmoni, ricerca