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Diagnosi da un selfie: la rivoluzione dell'AI in medicina

Diagnosi da un selfie: la rivoluzione dell'AI in medicina

Un algoritmo sviluppato ad Harvard analizza i tratti del volto per stimare l’età biologica e supportare le decisioni cliniche nei pazienti affetti da cancro

L’aspetto fisico non è solo apparenza. Al contrario, grazie all’intelligenza artificiale anche da un semplice selfie si possono trarre indicazioni utili ai medici per la valutazione della situazione clinica e, dunque, per le decisioni terapeutiche. Un risultato che uno studio condotto da un team di scienziati del Mass General Brigham della Harvard Medical School di Boston, negli Stati Uniti, pubblicato sulla rivista The Lancet Digital Health, ha dimostrato essere raggiungibile. Nello specifico, riguardo a stime attendibili della durata della sopravvivenza relativamente ai malati di cancro. Ma, in prospettiva, anche in altri modelli di previsione clinica.

L’invecchiamento non è uguale per tutti

La considerazione da cui sono partiti i ricercatori è che aumentano sempre più le prove che documentano come gli esseri umani invecchino a ritmi diversi. “Non esiste – scrivono nell’introduzione dello studio – un singolo orologio che misuri direttamente l’età biologica, ma l’individuazione di biomarcatori correlati con il tempo di sopravvivenza, ovvero il tempo fino alla morte, potrebbe avere applicazioni clinicamente rilevanti”. In tal senso, è già stato dimostrato come il processo di invecchiamento sia influenzato dalle differenze interpersonali, tanto nei fattori genetici quanto negli stili di vita, come la dieta, lo stress, il fumo e il consumo di alcool. Il passo che il team ha tentato è stato allora quello di cercare un “surrogato appropriato dell’età biologica della persona”, ritenendo che questo “potrebbe fornire un indicatore migliore della sua salute fisiologica e dell’aspettativa di vita rispetto all’età cronologica”. Così si è provato ad addestrare l’Ai, sviluppando un algoritmo di deep learning che permette di analizzare le caratteristiche facciali partendo da una semplice fotografia. Il sistema è stato chiamato “FaceAge” ed è stato utilizzato in particolare su persone malate di diversi tipi di cancro.

Le foto che raccontano l’età biologica dei malati di cancro

Sono così emersi risultati molto significativi dall’applicazione dello strumento, formato sui dati di quasi 59 mila individui presumibilmente sani di almeno 60 anni, per valutare 6.196 pazienti oncologici di Paesi Bassi e Usa, confrontando poi le stime emerse con una coorte di riferimento non cancerosa di 535 individui.

Tra i malati, un aspetto “più anziano” è stato così correlato a una peggiore sopravvivenza globale, in particolare tra chi dimostrava più di 85 anni. E, in media, l’Ai ha aumentato in media di 4,79 anni nei pazienti con cancro l’età apparente rispetto ai coetanei sani. Lo studio sottolinea inoltre come le previsioni sull’aspettativa di vita a breve termine per i malati incurabili sottoposti a radioterapia palliativa espresse da FaceAge siano risultate migliori rispetto a quelle calcolate dai medici, evidenziando dunque l’utilità di un uso clinico dell’algoritmo, incorporato in modelli di predizione, a supporto del processo decisionale di fine vita. Infine, sulla base di un’analisi genetica, a differenza dell’età anagrafica FaceAge è stato ritenuto un biomarcatore dell’invecchiamento molecolare significativamente associato ai meccanismi della senescenza.

Le prospettive a partire dai selfie

Pur essendo ora necessario proseguire con la ricerca, per esempio validando i risultati su coorti più ampie, si può quindi affermare che una semplice foto contiene informazioni importanti per contribuire a orientare il processo decisionale clinico e i piani di cura, sulla base della correlazione tra età apparente ed età biologica. Il potenziale di questo nuovo approccio potrebbe andare anche oltre la cura del cancro o la previsione dell’età.
Si può pensare infatti di passare dall’attuale incorporazione meramente soggettiva dell’aspetto fisico nei giudizi medici alla sua traduzione in misure quantitative standardizzate, e quindi oggettive e clinicamente valide, anche per altre patologie, contribuendo in tal modo a salvare vite umane. Una possibilità, conclude lo studio, particolarmente importante considerando che sia le malattie che i trattamenti praticati in medicina possono causare danni cellulari e accelerare il processo di invecchiamento. Poter quantificare meglio il rapporto rischi-benefici, insomma, consentirebbe una miglior applicazione al caso specifico, visto che, esemplificano i ricercatori, “un 75 enne in forma, la cui età biologica è 10 anni più giovane di quella cronologica, potrebbe tollerare e rispondere meglio al trattamento e vivere più a lungo di un 60 enne la cui età biologica è 10 anni più elevata di quella cronologica”.

Alberto Minazzi

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