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Covid: arriva un nuovo test utile per individuare la “variante Delta”

Covid: arriva un nuovo test utile per individuare la “variante Delta”

La mutazione “N501Y” è presente in tutte le principali varianti a oggi note del Sars-CoV-2, a partire dalla “Alfa” inglese, oggi maggioritaria anche da noi al 95%. L’unica che fa eccezione è la “Delta”, la recente variante “indiana” sulla quale è scattato l’allerta della comunità scientifica internazionale. L’assenza di questa mutazione in un tampone risultato positivo potrebbe essere quindi il segnale che si è in presenza dell’evoluzione del virus che sta destando particolare preoccupazione per la sua contagiosità. E, in tal modo, far scattare ulteriori controlli per verificare l’effettiva sussistenza del virus nella forma modificata e procedere a misure di isolamento adeguate.

Partono da questi presupposti i nuovi test, in arrivo anche in Italia, che consentirebbero di effettuare un più efficace monitoraggio nei confronti della variante B.1.671.2. Pur non essendo risultata collegata a forme di malattia grave, la “Delta” è però la forma del virus che ha rilanciato la diffusione dei contagi in particolare in Gran Bretagna e la cui presenza, in forma sia pur ancora minoritaria, è stata comunque riscontrata anche nel nostro Paese. Come cambia il virus, anche gli strumenti utilizzati per lo screening devono infatti aggiornarsi, in considerazione delle mutate caratteristiche dell’agente infettante.

Attualmente, i test in uso si concentrano soprattutto sulla proteina Spike, che serve al coronavirus per entrare nelle cellule dell’organismo umano. Evidenziando l’assenza della mutazione presente anche nelle varianti “Beta” sudafricana e “Gamma” brasiliana, il test spingerebbe così gli analisti a cercare la presenza di una mutazione specifica della “Delta”, come quella catalogata “L452R”. Come ha dichiarato all’agenzia Ansa il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca, la più efficace ricerca sarebbe quindi possibile grazie a un “test di cattura delle varianti”. E questo risulterebbe utile anche nei confronti delle varianti tipiche di “Beta” e “Gamma”, “che sono note sfuggire, almeno parzialmente, ai vaccini dopo la prima dose e in alcuni casi dopo la seconda”.

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