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COM’È MUSICALE IL DIALETTO

COM’È MUSICALE IL DIALETTO

Dai veneziani Pitura Freska, ai trevigiani Radiofiera, fino ai rivieraschi Herman Medrano e Rumatera. Il fenomeno dialettale tra le band del territorio

Il buon risultato di Davide Van De Sfroos a Sanremo è la conferma che la musica in dialetto ha un suo spazio nel panorama italiano. E proprio sul palco dell’Ariston, a “sdoganare” l’uso del dialetto nella musica popolare, fu proprio una band veneziana, i Pitura Freska.
Era un momento in cui c’era in tutta l’Italia un fermento di artisti dell’area underground che usava il dialetto ma i Pitura Freska furono i primi che lo portarono davanti alla platea televisiva nazionale. «Era una novità soprattutto per l’Italia – spiega Sir Oliver Skardy – ma in altri paesi c’era una forte tradizione nell’uso del dialetto». Ma avete mai sentito questo come un limite per arrivare alla gente? «No, anzi, c’era molta curiosità per questa cosa e molta più attenzione a quello che dicevamo. Il dialetto veniva percepito come un segno di spontaneità contrapposto a chi invece sembrava costruito a tavolino».

Un connubio che funziona ancora, visto che anche il nuovo album “Piragna”, realizzato assieme ai Fahrenheit 451, mantiene inalterato il suo mix di musica reggae, caustica critica alla politica e dialetto, e a giudicare dalle circa 200.000 visualizzazioni del videoclip del singolo “Fame un spritz” si può intuire come sia un amalgama sempre efficace, anche al di fuori dei confini regionali. La storia di Sir Oliver Skardy e dei Pitura Freska (compresa l’esperienza dell’altro “istrione” del gruppo, Marco “Furio” Forieri, che con i suoi Ska-J unisce spesso le raffinate atmosfere ska jazz con il cantato in veneziano) sono però la punta di un iceberg di un fenomeno profondamente radicato nel territorio. Tra i primi ci furono ad esempio i Lagunablè con il loro “blues mestrepolitano”: «Considerati l’attitudine e il focus delle canzoni indirizzate a tematiche locali, mi sembrava quasi obbligatorio aderire al motto “canta come che ti màgni” – spiega il cantante Giampaolo Gianese – c’è poi un aspetto metrico che bisogna tenere in considerazione. Il nostro dialetto è naturalmente disposto alle parole tronche, cioè con l’accento sulla sillaba finale, e questo facilita molto il compito di rientrare nei canoni classici del blues, ma non solo».

Un altro dei generi che infatti si è sposato alla perfezione con il veneziano è la musica latinoamericana, che ha nei Batistococo la propria massima espressione da moltissimi anni. Un percorso che, partendo dall’uso dell’ironia e dei giochi di parole (“Bombe”, “Tatiana”) è arrivato a addirittura a contaminare la musica classica, e in particolare la musica barocca. Su questa strada, iniziata una ventina di anni fa, si sono aggiunti poi altri musicisti.

Viaggiando in direzione Padova, chi certamente nell’ultimo periodo ha continuato nel migliore dei modi questa tradizione è Herman Medrano, l’Eminem della Riviera del Brenta, fustigatore ironico e graffiante con le sue rime in dialetto di vizi privati e pubbliche virtù: «L’idea è nata nel 1998, inizialmente per gioco, ma l’esigenza di usare termini specifici che l’italiano non poteva soddisfare continuò poi in modo naturale. Scrivere rime che riflettano la vita quotidiana necessita dell’uso di concetti vicini sia per vissuto che per linguaggio. Senza uno dei due elementi il testo resta lontano dalla comprensione. Le parole sono la materia viva di chi scrive canzoni, se ne conosci il senso e i segreti puoi plasmare sia le semplici immagini che le strutture complesse». Grandissima presa, soprattutto sui giovanissimi, ha anche il “rock boaro” prima dei Catarrhal Noise e ora dei Rumatera:«Ho cominciato a scrivere canzoni in dialetto per “provocazione” infatti coi Catarrhal Noise i testi erano un po’ più sboccati e “demenziali” – racconta il cantante Daniele Bullo – poi coi Rumatera si è fatto un passo avanti, abbiamo usato lo “slang” veneto per comunicare in maniera più diretta e per manifestare e trasmettere un senso di appartenenza al nostro territorio e al modo di divertirsi dei “tosi de campagna”.

Spostandosi un po’ ecco i trevigiani Radiofiera, che hanno sempre inserito del materiale in dialetto nei propri dischi e proprio in questo periodo stanno facendo uscire il nuovo album “Atinpùri” che è interamente cantato in dialetto trevigiano:«Il dialetto è la mia lingua madre e cioè la prima lingua che ho imparato – spiega il front-man del gruppo Ricky Bizzarro – così come il rock è la prima espressione musicale che ha attirato la mia attenzione. Non ho fatto alcuno sforzo nel metterle assieme, è successo e basta». Insomma reggae, rock, hip-hop, salsa, ska-jazz, il dialetto si presta perfettamente ad ogni genere musicale dando agli artisti e a chi li ascolta un forte senso di appartenenza e di condivisione, che ne fanno, più o meno localizzati, dei veri fenomeni musicali.

DI ANDREA MANZO

 

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