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Celiachia: rieducare l’intestino si può

Celiachia: rieducare l’intestino si può

La ricerca approfondisce la conoscenza delle cause della sempre più diffusa malattia autoimmune e apre a possibili nuove terapie

Per capire quanto, soprattutto negli ultimi anni, la diffusione della celiachia sia in continua crescita nella società occidentale, è sufficiente notare quanto sia aumentato il numero di prodotti senza glutine presenti sugli scaffali dei supermercati.
Si calcola, del resto, che questa malattia autoimmune interessi ormai circa l’1% della popolazione, con diagnosi spesso non tempestive o errate, facendone un problema di salute pubblica nonostante la crescente consapevolezza.
Malattia infiammatoria cronica, appunto, e non semplice intolleranza o allergia alimentare, come si è comunemente abituati a definirla. E anche questo testimonia quanto ci sia ancora da conoscere sulla risposta dell’organismo all’ingestione di grano, segale ed orzo, fonti sostanziali di proteine e carboidrati alimentari per l’uomo. I ricercatori scientifici sono dunque molto attivi per provare a individuare le cause che provocano la risposta immunitaria e, di conseguenza, riuscire a sviluppare nuovi farmaci che consentano di mettere a disposizione di chi ne soffre farmaci che costituiscano una valida alternativa all’unica strada finora percorribile per contrastare la celiachia: l’eliminazione totale dalla dieta di alimenti ricchi di glutine. E i risultati stanno arrivando. Su entrambi i fronti.

celiachia

Una nuova comprensione delle cause della celiachia

Un primo importante passo verso una maggior comprensione delle cause e dei meccanismi alla base della celiachia è stato compiuto, circa un anno fa, attraverso i risultati ottenuti da un team internazionale al termine delle loro ricerche, durate 6 anni.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Gastroenterology, confermando direttamente un’ipotesi precedente ha evidenziato il ruolo diretto delle cellule che rivestono internamente l’intestino nell’attivazione del sistema immunitario e in particolare delle cellule “T”, quelle cioè che reagiscono contro il glutine nelle persone affette da celiachia. Le riflessioni dei ricercatori sono partite dalla considerazione che un segno tipico della malattia è il danneggiamento delle cellule epiteliali intestinali. Attraverso test su persone malate, topi geneticamente modificati e organoidi coltivati in laboratorio, è stato allora possibile confermare la produzione da parte delle cellule dell’epitelio intestinale di una molecola che “mostra” il glutine alle cellule “T”, svolgendo così un ruolo attivo nell’infiammazione causata dalla malattia. Mettendo insieme cellule epiteliali e glutine con le cellule “T”, cioè, queste ultime si attivano. E l’effetto è amplificato quando il glutine è “predigerito” da un batterio, chiamato Pseudomonas aeruginosa, che produce l’enzima elastasi.
Con la conclusione che la modifica del comportamento delle cellule intestinali è una possibile nuova strategia per il trattamento della celiachia.

Il ruolo della transglutaminasi 2 e il farmaco sperimentale

Non è però questo l’unico risultato raggiunto recentemente dalla ricerca sulla celiachia.
Una vera chiave di volta, che ha già facilitato nuovi test alimentari, reso possibili gli sforzi nel senso della detossificazione dei cereali e i progressi in immunodiagnostica e immunoterapie, è stata la scoperta, effettuata nel 1997 dal team di Detlef Schuppan, che i pazienti celiaci producono anticorpi specifici per l’enzima umano transglutaminasi 2.


In condizioni normali, la Tg2 è presente in basse quantità nell’intestino, mentre, quando ci sono danni e infiammazioni, il corpo ne aumenta la produzione. Questo enzima, inoltre, è in grado di modificare il glutine, rendendolo più visibile e più facilmente identificabile come “nemico” dal sistema immunitario, scatenandone la risposta, attraverso la formazione di complessi formati da frammenti di glutine e l’enzima stesso. Un gruppo di ricercatori ha così creato un anticorpo sperimentale, chiamato Troybody, che, testato su topi geneticamente modificati per reagire al glutine come avviene per le persone celiache, è riuscito a scatenare la produzione di anticorpi anti-Tg2. È stato inoltre sviluppato un farmaco sperimentale, Zed1227, il cui principio attivo, bloccando l’attività dell’enzima nell’intestino, negli studi clinici si è mostrato efficace per proteggere l’intestino dai danni. La prevenzione o la riduzione della celiachia, dunque, potrebbe essere possibile attraverso il blocco dell’interazione tra glutine e Tg2, ferme restando la necessità di verifica sull’uomo dell’esistenza degli stessi meccanismi emersi nei modelli murini e la considerazione che non tutte le persone con celiachia producono questi anticorpi.

Alberto Minazzi

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