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Cambiamenti climatici: gli Stati sono obbligati a contrastarli

Cambiamenti climatici: gli Stati sono obbligati a contrastarli

Per la Corte internazionale di giustizia non agire è un illecito. La storica pronuncia, pur non vincolante, è destinata a rivoluzionare anche le cause di risarcimento

Come spesso accade, le grandi rivoluzioni partono dal basso. Nel caso della storica pronuncia sui cambiamenti climatici emessa dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite il 23 luglio 2025, a dare il via al percorso che ha portato nel 2023 all’attivazione del tribunale dell’Aia è stato per esempio, nel 2019, un gruppo di studenti di Vanuatu, piccolo stato dell’Oceania composto da circa 80 isole, in cui vivono complessivamente circa 320 mila persone: poco più dei residenti nella sola città di Bari. Eppure, il parere, per quanto solo consultivo e non vincolante, secondo i giuristi è destinato ad avere un impatto decisivo per cambiare l’approccio degli Stati nelle azioni di contrasto agli effetti sul clima determinati dalle attività umane. Il diritto a vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile, del resto, è stato confermato dai giudici come condizione preliminare e indispensabile per il rispetto anche di tutti gli altri diritti umani.

I cambiamenti climatici? Una minaccia esistenziale

Secondo i giudici del principale organo giudiziario dell’Onu, presieduto dal giapponese Yuji Iwasawa, che si sono pronunciati per la prima volta in merito alla possibile sussistenza per gli Stati di obblighi legali legati al cambiamento climatico, questo problema rappresenta infatti una “minaccia urgente ed esistenziale”. Di conseguenza, aggiunge la Corte anche in considerazione del fatto che i trattati in materia stabiliscono obblighi rigorosi, nella mancata adozione di misure adeguate da parte di uno Stato sono individuabili gli estremi per configurare un illecito per violazione del diritto internazionale. Il parere, adottato all’unanimità dai giudici per la quinta volta negli 80 anni di storia della Corte, si traduce dunque, in concreto, nell’obbligare le Nazioni a limitare le emissioni di gas serra, mettendo in campo azioni appropriate per proteggere il sistema climatico e frenare così il riscaldamento globale del pianeta. Il vero e proprio obbligo giuridico, valido sia per le generazioni presenti che per quelle future, si applica, in particolare, all’estrazione e consumo di combustibili fossili e all’eventuale mancata normativa per favorire la transizione verso un’economia a zero emissioni.

Le conseguenze del pronunciamento della Corte

Per estensione, la responsabilità legale per i comportamenti che, al contrario, contribuiscono ai cambiamenti climatici si potrà estendere dagli Stati alle aziende che emettono gas climalteranti. Il valore dei pronunciamenti della Corte, del resto, non ha efficacia vincolante per i giudici chiamati a valutare le cause concrete. Al tempo stesso, però, viene tenuto in conto sul piano giurisprudenziale. Gli esperti, così, ritengono che la decisione presa all’Aia risulterà determinante, oltre che per le future politiche degli Stati, anche sul fronte dei cosiddetti “contenziosi climatici”, rendendo più facile, una volta accertato il nesso causale diretto tra atto illecito e danno, il riconoscimento della richiesta di ottenere un risarcimento integrale per il danno subìto nelle cause legali avviate da associazioni e gruppi di cittadini in seguito ad azioni impattanti sull’ambiente. Sottolineando, nel discorso di 2 ore pronunciato in occasione della lettura della sentenza, che “le emissioni di gas serra sono inequivocabilmente causate dalle attività umane, che non sono limitate territorialmente”, Iwasawa ha quindi parlato di un vero e proprio “obbligo di risarcire” per gli Stati che non riescano a ridurre il proprio impatto sul clima.

Alberto Minazzi

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