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Al Gemelli di Roma due fratelli recuperano la vista con la cura genica

Al Gemelli di Roma due fratelli recuperano la vista con la cura genica
A sinistra il professor Stanislao Rizzo, al centro i piccoli pazienti e la mamma, a destra Giancarlo Iarossi Oculistica Ospedale Bambino Gesù - Roma

I piccoli erano affetti da distrofia retinica ereditaria, malattia rara che nelle forme più severe porta alla cecità

Per loro la vita è cambiata. Perché ora ci vedono di nuovo e possono finalmente affrontare il quotidiano come tutti i loro coetanei: giocando, andando a scuola, osservando il mondo con gli occhi curiosi dei più piccoli avidi di scoprire e conoscere ciò che hanno attorno.

Due fratellini di origine senegalese residenti in Sardegna, Abdourahmane e e Adja Wade, un bimbo di 8 anni e la sorella di 3, affetti dalla stessa forma di distrofia retinica ereditaria hanno riacquistato la vista grazie al trattamento con terapia genica.

Gli interventi sono stati eseguiti in collaborazione dalle unità di Oculistica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

La più giovane paziente in Italia sottoposta a questo trattamento che restituisce la vista

I due piccoli pazienti, operati al Gemelli, ora distinguono meglio i dettagli e riescono a muoversi con fiducia negli ambienti poco illuminati senza il timore di inciampare negli oggetti. Tutto grazie alla nuova terapia somministrata per questa malattia rara, sviluppata da Novartis e autorizzata dall’Agenzia Italiana del Farmaco Aifa: voretigene neparvovec, il cui nome commerciale è Luxturna.

Consiste in una iniezione del gene RPE65 nello spazio sottoretinico di entrambi gli occhi. La tecnica consiste nel veicolare attraverso un virus modificato una copia buona del gene difettoso vicino alla struttura affetta, sfruttando la naturale capacità del virus di infettare, ma in questo caso a favore del paziente.

Giorgio Placidi ortottista visita il paziente sottoposto alla cura genica

Il gene sano è veicolato all’interno delle cellule da un adenovirus associato, con patrimonio genetico modificato, che agisce come vettore. Qui la copia funzionante è in grado di ripristinare la capacità visiva del paziente in modo significativo e duraturo.

La bambina di 3 anni è la più giovane paziente in Italia ad aver ricevuto questo trattamento, che può essere fatto solo da quell’età. Una terza paziente del Bambino Gesù, di 7 anni, è al momento candidata al trattamento. Per entrambi i fratelli il percorso post intervento ha evidenziato un significativo miglioramento di tutti i parametri visivi.

Nuovi orizzonti per le future strategie terapeutiche

La distrofia retinica è caratterizzata dalla mutazione di entrambe le coppie del gene RPE65, responsabile della produzione di una proteina chiave nel processo di conversione della luce in segnale elettrico nella retina. Le persone colpite da questa malattia hanno problemi di scarsa visione notturna, di restringimento del campo visivo e possono manifestare una grave e progressiva riduzione della capacità di vedere fino alla cecità.

La piccola paziente di tre anni con la mamma

La più nota tra le distrofie retiniche a trasmissione ereditaria è la retinite pigmentosa (RP) da cui erano affetti nella forma più precoce i due fratelli. Può essere causata dalla mutazione di circa 100 geni implicati nei meccanismi della visione.

Uno di questi è l’RPE65, le cui mutazioni sulle due copie del gene, spiegano gli esperti, sono molto rare e interessano circa una persona su 200 mila nel mondo. In Italia in base a studi di prevalenza si stima che i soggetti coinvolti siano tra 100 e 120.

«Si tratta di una malattia terribile – sottolinea Stanislao Rizzo, professore ordinario di oculistica all’Università Cattolica e direttore della UOC di Oculistica del Policlinico Universitario Gemelli IRCCS – che porta nelle forme più severe a cecità e per la quale non esisteva una terapia efficace fino a poco tempo fa. Finalmente oggi riusciamo a offrire un trattamento efficace, frutto di studi scientifici internazionali eseguiti in pochissimi centri di ricerca e cura nel mondo”.

“Operare pazienti in giovanissima età e ridare loro la vista – conclude – è qualcosa che travalica la nostra vita professionale e si identifica appieno nella missione del Gemelli e del Bambino Gesù: quella di curare persone affette da disabilità gravissime impiegando i risultati della ricerca clinica più avanzata».

Silvia Bolognini

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Tag:  genetica