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Alzheimer, ascoltiamo il naso. Anche in bagno

Alzheimer, ascoltiamo il naso. Anche in bagno

Lo studio: non riconoscere l’odore del sapone può essere un primo indicatore dell’inizio di una forma di demenza

Sapone, fumo, gas naturale, cuoio, lilla e rosa. Ma anche, spostandoci in ambito alimentare, ciliegia, chiodi di garofano, fragola, mentolo, ananas e limone. Siamo convinti che, se avete letto con attenzione questi 2 elenchi, avete collegato come prima cosa al nome il profumo di queste diverse sostanze. Non a caso, queste diverse profumazioni sono talmente caratteristiche da essere state selezionate per una delle più affidabili e ben convalidate versioni dei test di identificazione degli odori, identificato con l’acronimo Bsit, attraverso cui si può valutare la perdita dell’olfatto.

Valutare l’odorato sotto la doccia

Già quando compiamo un gesto quotidiano come quello di lavarci, insomma, possiamo far scattare un campanello d’allarme qualora non riuscissimo a riconoscere più, pur percependolo, il profumo del sapone. Ma la scienza adesso ci dice che proprio attraverso il Bsit, test rapido, poco costoso e assolutamente non invasivo, possiamo cogliere anche un’indicazione in più rispetto alla semplice perdita dell’olfatto. Ovvero l’eventuale principio di una forma di demenza, come l’Alzheimer. Il riconoscimento degli odori, infatti, richiede una serie di funzioni cerebrali, tra cui la memoria, che vengono svolte da aree del cervello colpite fin dalle prime fasi di queste malattie o in un principio di declino cognitivo.

Alzheimer e demenze: l’importanza di una diagnosi precoce

Il risultato ottenuto in uno studio statunitense pubblicato sulla rivista “Alzheimer’s & Dementia” è importante soprattutto ricordando che, al momento, non esiste nessuna cura definitiva per le demenze, ovvero per quella serie di sindromi caratterizzate principalmente dal progressivo declino della cognizione e della capacità di svolgere funzioni quotidiane. Al tempo stesso, però, sono disponibili trattamenti farmacologici per rallentare la progressione di queste malattie, migliorando così la qualità di vita del paziente. Una diagnosi precoce, dunque, è fondamentale per intervenire già dopo le prime manifestazioni di sintomi potenzialmente indicativi. Attraverso questi dati, sottolinea lo studio, è inoltre possibile identificare meglio i partecipanti agli studi di prevenzione e, nel lungo termine, aiutare i pazienti a pianificare il loro futuro insieme agli operatori sanitari.

Prevedere l’Alzheimer: gli ultimi sviluppi della scienza

Per ottenere il risultato di anticipare le diagnosi, negli ultimi anni la ricerca ha consentito di migliorare l’accuratezza diagnostica concentrandosi soprattutto sull’approfondimento di alcuni biomarcatori di neuroimaging. Gli esami sviluppati, però, tra le altre controindicazioni generali, sono costosi e richiedono la sottoposizione del paziente a una puntura lombare per poter poi studiare il liquido cerebrospinale attraverso l’imaging amiloide. Ecco perché è significativo che i ricercatori abbiano potuto concludere che le indicazioni ottenute basandosi sulla compromissione olfattiva riscontrata attraverso il test di identificazione degli odori, ma anche quelle legate al test sulla cognizione globale, sono risultata “paragonabili” ai risultati ottenuti attraverso i principali esami di laboratorio, come la tomografia a emissione di positroni (Pet), “per prevedere il declino cognitivo e la demenza”.

Demenze: il naso ci proteggerà?

Partendo dall’idea che “la compromissione dell’identificazione degli odori è associata al successivo declino cognitivo negli anziani”, i ricercatori hanno dunque utilizzato il test Bsit, già impiegato in diversi studi, che richiede appena 5′ per il completamento e può essere somministrato da personale non medico. Ai 647 partecipanti all’esperimento, già coinvolti nello studio della Mayo Clinic sull’invecchiamento nella contea di Olmsted, è stato chiesto di grattare, annusare e selezionare 1 delle 4 possibili scelte per ognuno dei 12 elementi olfattivi. I risultati ottenuti, uniti a quelli sulla loro cognizione globale (rilevati col test Bimct), sono stati quindi confrontati con quelli emersi attraverso esami strumentali, tra cui la risonanza magnetica cerebrale strutturale e la Pet. I partecipanti al test sono quindi stati seguiti con un follow-up durato in media 8 anni, durante i quali si è sviluppato declino cognitivo in 102 di loro e una forma di demenza in 34.

Test dell’odorato efficaci come esami costosi e invasivi

In tal modo, è stata non solo ribadita l’efficacia delle previsioni basate sulla Pet, ma soprattutto sono stati confermati come “predittori significativi” anche i test Bsit e Bmcit. E la combinazione di questi due test con le variabili demografiche di età, sesso e istruzione ha mostrato una “forte utilità predittiva”, con risultati simili a quelli ottenuti unendo ai dati demografici i risultati dell’imaging amiloide. La valutazione clinica basata sui test, oltretutto, si è rivelata addirittura “più forte” per la specifica previsione della demenza, spingendo a considerarla un’opzione semplice ed economica. “L’articolo – è la conclusione – fornisce una strategia conveniente per identificare gli individui a rischio di declino cognitivo e demenza. Questo approccio può essere utilizzato per lo screening degli studi clinici”.

Alberto Minazzi

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