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Capelli in fuga: la crisi italiana

Capelli in fuga: la crisi italiana

Quasi la metà degli uomini perde i capelli prima dei 35 anni. Tra ansie estetiche e crisi d’identità, è boom del business delle cure low-cost all’estero

Definirci un “popolo di pelati”, non è un’offesa, ma un dato di fatto.
Secondo uno studio di Medihair del 2024, nel mondo solo gli Spagnoli ci supererebbero infatti per percentuale di persone affette da calvizie.
E questo la dice lunga sull’altro lato della medaglia del fenomeno. Ovvero il fatto che la perdita dei capelli è tutt’altro che accettata dai più, che vivono il fatto di avere una testa completamente “skin” non per scelta come un problema estremamente serio. Lo è al punto che, per evitare conseguenze che possono arrivare fino alla perdita dell’autostima e a crisi di identità, incidendo anche sui rapporti sociali, sentimentali e lavorativi, si è davvero disposti a tutto.
Solo che l’intervento di trapianto di capelli in Italia ha costi che possono raggiungere i 10 mila euro: ecco quindi che sono sempre più coloro che, non senza rischi, si rivolgono a una clinica estera.

L’Italia del capello perduto

Il citato studio condotto da Medihair su un campione di 4.284 persone in tutto il mondo, quantifica nel 44,37% la percentuale di maschi italiani colpiti da calvizie. La percentuale non è distante da quella degli spagnoli, primi con il 44,5%, e supera sia pur di poco quella dei francesi (44,25%), mentre sono più distanti gli statunitensi, quarti con il 42,68%. Al di là della ricerca specifica, le stime generali sulla popolazione italiana indicano che per circa il 40% degli italiani i capelli iniziano a diradarsi entro i 35 anni, con la percentuale che sale fino all’80% a 60 anni. Il problema, in ogni caso, riguarda anche le donne: a perdere o ad avere problemi di capelli sono circa il 30% di quelle in età fertile, con numeri in crescita, e il 40% in menopausa, con anche in questo caso un aumento progressivo all’avanzare dell’età. Sarebbero poi circa 4 milioni le donne italiane affette da alopecia: una condizione che, favorita dallo stress oltre che da fattori genetici, dieta e stili di vita, colpisce sempre più anche i giovani. A perdere i capelli, così, sarebbero indicativamente 20 milioni di italiani, di cui circa 8 milioni con alopecia. In generale, anche senza arrivare alla vera e propria calvizie, circa la metà degli italiani si sente insoddisfatto dei propri capelli.

capelli

Teste calve tra moda e rimedi

Fino a qualche anno fa, complice la moda, una soluzione adottata da molti per mascherare la perdita dei capelli era quella di rasarsi volontariamente la testa a zero. Il taglio “skin fade”, ovvero uno dei look attualmente più diffusi, specie tra i giovani, prevede però la rasatura graduale fino a zero solo su nuca e lati. In tal modo, il problema della calvizie è tutt’altro che risolto. Così, chi non si arrende alla caduta dei capelli va a caccia dei possibili rimedi. Al riguardo, sono disponibili rimedi non chirurgici, come la finasteride (un farmaco utilizzato sia per l’alopecia androgenetica maschile che per la cura dell’ingrossamento non canceroso della prostata) o il minoxidil (un vasodilatatore sviluppato per il trattamento dell’ipertensione poi rivelatosi efficace come trattamento topico per la perdita dei capelli). Si sta puntando sempre più anche sulle terapie rigenerative, come quelle che utilizzano un plasma ricco di piastrine o dispositivi laser a bassa intensità. L’unica soluzione definitiva per coprire le aree di calvizie resta però il trapianto. Riguardo al quale, in ogni caso, non va dimenticato che l’esito non può essere garantito. Si calcola infatti che, nel 2024, circa il 12% degli interventi ha generato nel paziente un’elevata insoddisfazione.

Dalla calvizie al business del “turismo estetico” per i capelli

Un trapianto di capelli si traduce in sostanza nell’innesto di follicoli prelevati dalla nuca. Un intervento che, nelle nostre cliniche, prevede costi che difficilmente scendono sotto i 4 mila euro, anche perché, a tutela del paziente, è prevista l’applicazione di protocolli severi. E così, come avviene già da anni per esempio in campo dentistico, chi non può permetterselo dal punto di vista economico si affida a cliniche straniere, a partire da quelle di Albania e, soprattutto, Turchia. Qui, infatti, si scende, come spiega l’associazione Consumerismo, a una fascia compresa tra 1.800 e 3.500 euro. Ma anche Spagna e Croazia si collocano a un livello intermedio, comunque inferiore ai costi sul mercato italiano, che deve fronteggiare la concorrenza pure della Francia. Si è venuto, in tal modo, a creare un vero e proprio business, con la proposta di pacchetti “all inclusive” che comprendono, oltre all’intervento, anche trasferimenti e soggiorno. Si calcola che il giro d’affari di questo specifico “turismo estetico” abbia già superato in Europa i 9,5 miliardi di dollari, coinvolgendo oltre 1 milione di pazienti ogni anno. Una crescita che, soprattutto in Italia, continua, con tassi superiori al 6% e la prospettiva di superare i 15 miliardi di dollari entro il 2030. Un settore, dunque, che attira investitori anche inattesi, come il calciatore Cristiano Ronaldo, che ha acquistato il 50% di un gruppo specializzato in trapianti con 15 centri tra Portogallo, Spagna, Italia e Oman.

Trapianto: attenzione ai rischi

Il trapianto di capelli, però, è un vero e proprio intervento chirurgico, che dunque comporta rischi clinici. E questi, sottolinea l’International society of hair restoration surgery (Ishrs), possono variare notevolmente in base a chi lo effettua.
“Molti pazienti – sottolinea l’Ishrs – si sottopongono a interventi eseguiti da personale non medico o non qualificato, talvolta senza la presenza di un anestesista, aumentando il rischio di infezioni, cicatrici permanenti o necrosi cutanea”.
Non è un caso se la parigina Clinique Lutétia evidenzia come il 30% delle sue attuali attività consista nella riparazione di trapianti falliti. Consumerismo aggiunge un’ulteriore riflessione che deve fare chi pensa di sottoporsi al trapianto di capelli: i possibili problemi di tutela legale e contrattuale. “In caso di errore medico o risultato insoddisfacente – scrive l’associazione sul proprio sito – intentare una causa nel Paese in cui è stata eseguita l’operazione è un percorso lungo e costoso. Il consumatore perde le tutele del codice del consumo italiano e si ritrova spesso senza assistenza legale o un follow-up adeguato una volta rientrato in Italia”. Il consiglio, dunque, è quello di “verificare l’identità e la qualifica del chirurgo che eseguirà l’intervento e assicurarsi che il contratto specifichi chiaramente le garanzie sul risultato e le procedure in caso di complicazioni”.

CAPELLI

I trapiantati “vip” e il tema femminile

Parallelamente alla crescita dell’insoddisfazione per la calvizie, negli ultimi anni si è nel frattempo diffuso in tutto il mondo un cambio di atteggiamento nei confronti di chi opta per il trapianto.
Per quanto si discuta relativamente a personaggi come Justin Bieber ed Elon Musk, l’elenco dei vip che ha parlato apertamente dell’intervento è lungo e variegato. Tra questi ci sono per esempio gli attori Brendan Fraser, John Travolta, George Clooney, Mel Gibson e Matthew McConaughey o gli ex calciatori Wayne Rooney, David Beckam e Antonio Conte. Così come sono in continua crescita le donne, anche in giovane età, che si presentano nelle cliniche. Il dato dell’Ishrs parla di una crescita delle pazienti, a livello globale, del +16,5% tra il 2021 e il 2024. La perdita dei capelli, come visto, non è infatti un fenomeno esclusivamente maschile. Il “problema”, in questo caso, si lega al fatto che in molti casi si punta a migliorare l’aspetto estetico della propria capigliatura senza che ci siano alla base reali problematiche. A trascinare questo trend, ancora una volta, sono i social nework, dove sono sempre più visti per esempio i video di “hair transformation” e “before & after”. Il trapianto di capelli, in campo femminile, è però molto più delicato: secondo gli esperti, anche in caso di perdita anomala, solo il 10% delle pazienti risulterebbe infatti idoneo all’intervento, rendendolo non indicato.

Alberto Minazzi

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