Approvato all’unanimità l’emendamento bipartisan che inserisce nel reato di violenza sessuale la mancanza di “consenso libero e attuale”. Una riforma che segna un cambio culturale oltre che giuridico
C’è una frase che d’ora in poi cambierà profondamente il modo in cui la legge italiana guarda alla violenza sessuale: “Chiunque compie atti sessuali senza il consenso libero e attuale dell’altra persona è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.
È questo il cuore dell’emendamento approvato all’unanimità dalla commissione Giustizia della Camera, frutto di un’intesa bipartisan tra Fratelli d’Italia e Partito Democratico e sottoscritta dalle relatrici Michela Di Biase e Carolina Varchi e sostenuta direttamente da Elly Schlein e dalla premier Giorgia Meloni.
Una convergenza politica rara, che ha prodotto una novità decisiva: la riformulazione dell’articolo 609-bis del codice penale, quello che definisce e punisce la violenza sessuale.
Per la prima volta, la legge italiana mette al centro non più soltanto la “costrizione” o la “violenza”, ma il “consenso”.
Non si tratta più, dunque, di dimostrare se una persona è stata fisicamente forzata: basterà accertare che non abbia espresso un consenso libero e attuale.
È una svolta concettuale, che avvicina l’Italia agli standard internazionali già adottati in diversi Paesi europei, come la Spagna e la Svezia, dove il principio “solo sì è sì” è già diventato legge.
Dal “costretto” al “non consenziente”
Finora, per configurare il reato di violenza sessuale serviva la prova di una violenza, di una minaccia o di un abuso di autorità.
Il nuovo testo, invece, sposta l’attenzione sulla volontà della persona coinvolta. Se quella volontà manca — se non c’è un “sì” autentico, libero, espresso nel momento del rapporto — allora si parla di violenza sessuale, anche in assenza di forza fisica o coercizione esplicita.
Dietro le due parole chiave dell’emendamento — libero e attuale — si nasconde l’essenza della riforma.
“Libero” significa che il consenso deve essere espresso senza alcuna costrizione, minaccia o pressione, ma anche senza condizionamenti psicologici, economici o emotivi. Un “sì” ottenuto per paura, per soggezione o per ricatto non è libero.
“Attuale”, invece, vuol dire che il consenso deve essere valido al momento dell’atto sessuale, non prima né dopo.
Non basta un consenso dato in passato o in un contesto diverso: ogni atto richiede una conferma della volontà della persona coinvolta. Il messaggio è chiaro: il consenso non è una condizione permanente, ma un diritto che si rinnova ogni volta.
Una riforma che parla anche di cultura
L’emendamento non introduce solo una nuova formula giuridica, ma anche una nuova idea di libertà sessuale.
Per decenni, le vittime di violenza hanno dovuto dimostrare di essere state costrette, di aver resistito, di non aver potuto dire “no”. Oggi la prospettiva si rovescia – è chi compie l’atto che deve assicurarsi che ci sia stato un consenso libero e attuale – e cambia anche la cultura dei rapporti, puntando a educare al rispetto e alla consapevolezza.
Un’intesa trasversale e un segnale politico forte
Il dato politico non è meno significativo di quello giuridico.
Meloni e Schlein, due leader lontane su quasi tutto, hanno condiviso la stessa visione di tutela della libertà sessuale.
La modifica dovrà ora passare all’Aula, ma l’accordo politico rende il via libera quasi certo.
Quando entrerà in vigore, ogni giudice dovrà valutare non solo la presenza di coercizione ma anche l’assenza di consenso. In pratica, un rapporto sessuale senza consenso espresso potrà essere perseguito come violenza.
Sarà una norma che non cancella le fattispecie già previste — violenza, minaccia, abuso di autorità — ma aggiunge una nuova chiave di tutela.





