I tribunali della regione, subissati dalle domande di cittadinanza, non riescono a far fronte al boom di richieste dei discendenti degli emigrati nel grande Paese sudamericano
La bandiera brasiliana provocatoriamente esposta all’esterno del Municipio dal sindaco di Val di Zoldo è probabilmente il simbolo più adatto per il nuovo curioso trend che si sta registrando ormai da un decennio in Veneto.
Il piccolo comune del Bellunese, provincia particolarmente interessata da questo fenomeno, conta infatti circa 2.600 residenti nel territorio, a cui però vanno aggiunti gli altri 1.800 che hanno ottenuto il riconoscimento della loro cittadinanza italiana pur continuando a vivere in Brasile, per tacere delle altre circa 650 domande di questo tipo già inoltrate da discendenti di emigrati. Queste, che giacciono all’anagrafe zoldana in attesa di risposta, costituendo in termini di ricerche negli archivi dei documenti da trasmettere ai tribunali un peso non da poco che rischia di compromettere l’erogazione degli altri normali servizi alla cittadinanza, sono infatti solo una parte delle oltre 19 mila richieste di passaporto italiano, molte multiple riguardando intere famiglie, che erano ferme a fine 2024 nei tribunali del Veneto.

I flussi migratori tra Veneto e Brasile
Lo storico legame del Veneto con il Sudamerica è un dato di fatto che si lega ai grandi flussi migratori della fine del XIX secolo. E non è il Venezuela, anche se il nome (“piccola Venezia”, scelto dagli spagnoli per l’usanza degli indigeni di costruire le case su palafitte) potrebbe trarre in inganno, lo Stato sudamericano in cui vivono più discendenti di quei migranti nostrani che lasciarono l’Italia per motivi economici, con la speranza di affermarsi come proprietari terrieri. Se il secondo posto è occupato dall’Argentina (una stima del 2022 indicava circa 51 mila veneti con passaporto italiano che vivevano in quel Paese, il 10,6% del totale delle persone espatriate dalla regione), la leadership incontrastata è del Brasile, dove vive circa un quarto di veneti che hanno cercato fortuna all’estero. E, tra i complessivi 30-35 milioni di brasiliani di origini italiane, quella veneta è così una delle più grandi comunità “nostrane” che vive in quel Paese. I veneti-brasiliani si sono stanziati soprattutto negli stati meridionali di Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná e Espírito Santo, ma senza perdere contatto con le proprie radici e le proprie tradizioni. La testimonianza più forte, in tal senso, è il fatto che, all’interno di queste comunità locali, circa mezzo milione di persone parla un particolare dialetto, chiamato “talian”, che è in sostanza una variante di quello veneto. E non mancano i toponimi dalla chiara origine, come Nova Veneza, Nova Treviso o Nova Bassano. All’interno di questo consolidato contesto, la vera novità è rappresentata dal vero e proprio boom della riscoperta delle proprie origini anche nel senso di richiesta di ottenere la doppia cittadinanza.

L’ondata di ritorno dal Brasile dei migranti veneti
A questo trend si è provato a cercare spiegazioni, individuandole per esempio nell’opportunità di sfruttare il passaporto italiano per poter circolare liberamente nell’Unione Europea, ma anche per facilitare l’ottenimento di un permesso di lavoro in altri Paesi, come gli Stati Uniti. Sul tema del riconoscimento automatico della cittadinanza va ricordato che l’ordinamento italiano riconosce lo “ius sanguinis” solo dopo aver dimostrato l’effettivo legame di parentela. E questo, da marzo 2025, risulta utile solo nel caso in cui almeno un nonno (e non ascendenti più lontani) abbia conservato la cittadinanza italiana. Il fatto è che, alle spalle del fenomeno, si è creato un vero e proprio business, con costi elevati anche quando le pratiche vengono svolte alla luce del sole, ma che ha portato a ipotizzare un coinvolgimento della malavita organizzata. Non a caso, la magistratura ha avviato a riguardo inchieste in tutta Italia, arrivando a cancellare centinaia di richieste mancanti dei presupposti, così come, in Brasile, sono emerse attività truffaldine. Per di più, una volta ottenuto il documento, solo una percentuale minima dei richiedenti sceglie di percorrere la strada inversa rispetto a quella dei propri avi, continuando a pagare le tasse in Brasile ma acquisendo una serie di diritti, come la possibilità di accedere al sistema sociale o il diritto di voto. Con il paradosso, in questo caso, di poter incidere sulle scelte politiche pur senza vivere quotidianamente la realtà sociale italiana. E il peso di questi cittadini atipici rischia di aumentare ancor più in considerazione del continuo calo delle nascite, che non dà segnali di diminuzione nel nostro Paese.

Il peso delle domande e il possibile impatto negativo sul Pnrr
I 19.003 casi legati alla richiesta di cittadinanza ferme nel distretto della Corte d’Appello di Venezia alla fine dello scorso anno, a cui corrispondono circa 150 mila richieste totali, non rappresentano solo il 41% delle istanze presentate in tal senso in tutta Italia, ma soprattutto il 69% dei processi civili del Veneto. Un ulteriore aggravio dei carichi, e di conseguenza dei tempi, della giustizia che si teme possa incidere anche ai fini della concessione delle risorse specifiche concesse dall’Europa con il Pnrr.
Uno dei requisiti richiesti per ottenere i finanziamenti è infatti l’efficientamento del sistema giudiziario e la riduzione entro fine giugno 2026 del 40% del monte arretrato delle cause civili rispetto al 2019. Un processo che è iniziato, ma richiede tempo e soprattutto, secondo quanto emerge dai dati del Ministero della Giustizia, avrebbe fatto segnare nel 2024 una prima preoccupante retromarcia. E il risultato rischia di diventare ancor più complicato da raggiungere anche per il boom delle richieste di cittadinanza, le cui tematiche fanno segnare la maggior crescita percentuali tra i vari tipi di contenzioso, che ha coinvolto i tribunali italiani vista la previsione della possibilità di depositare la domanda presso il tribunale competente sulla base del luogo di origine degli antenati, evitando così le procedure brasiliane, che possono richiedere decenni per la decisione.
Alberto Minazzi



