Le famiglie tradizionali arretrano: il 56,6% è formato da single o coppie senza figli. Gli animali domestici superano i neonati nelle spese delle case italiane
In 12 anni, tra il 2012 e il 2024, i nuclei familiari italiani sono complessivamente aumentati, passando da 25,9 a 26,5 milioni. E parlare di “nuclei” è quantomai corretto, visto che le “famiglie” tradizionali stanno perdendo sempre più terreno, nel tessuto sociale italiano. In più della metà dei casi, esattamente il 56,6% del totale, i nuclei familiari sono infatti composti da single o da coppie senza figli.
Un’evoluzione demografica e sociale che è destinata a proseguire, portando la quota al 61% nel 2040, e che incide sui consumi, come sottolineano le stime pubblicate da Confeserscenti sulla base dell’elaborazione dei dati Istat e di un sondaggio condotto con Ipsos. E ne deriva un influsso sia quantitativo che qualitativo, visto che, per esempio, si registra il superamento della spesa destinata agli animali domestici nei confronti di quella per la prole.
Consumi in crescita nell’Italia dei single
Lo studio di Confesercenti quantifica in 235 miliardi di euro, il 26,2% di quella complessiva effettuata dagli italiani, la spesa totale effettuata nel 2024 da chi vive da solo. Una spiegazione che si lega in primo luogo alla quantità di nuclei monopersonali, che erano 7,6 milioni (il 29,4% del totale) nel 2012, sono arrivati a 9,7 milioni (il 36,2%) nel 2024 e toccheranno il 39,3% (10,7 milioni di single) nel 2040. Così, se la spesa delle famiglie composte da una sola persona è cresciuta di 69 miliardi rispetto ai 166 del 2012, secondo le proiezioni nel 2040 si toccheranno i 287 miliardi, il 30% del totale nazionale, con un incremento del +72% in meno di tre decenni.
“Il fenomeno delle micro-famiglie – commenta Confesercenti – non incide soltanto sulla rete di vendita, ma è destinato a produrre modifiche significative anche nell’organizzazione dei servizi sociali. I consumi familiari sono oggi in una fase di cambiamento costante, attraversati da nuove priorità e nuove pressioni economiche, che si aggiungono alla crescita della spesa dei single. Una sfida cruciale per imprese e istituzioni: le politiche economiche dovranno tener conto delle diverse condizioni e fragilità dei nuclei familiari e dei consumatori soli, per sostenerne il potere d’acquisto e stimolare la crescita complessiva”. Serve una strategia di medio periodo che connetta politiche demografiche, sostegno al reddito e innovazione del sistema distributivo e dei servizi”. In particolare, serve una riflessione sulla possibile fragilità legata alla mancanza di economie di scala per chi vive da solo, ben spiegata dal dato secondo cui l‘abitazione assorbe il 41% del budget di un single.
Il comportamento del single consumatore
Ma, a incidere sulla crescita dei consumi, sono anche le diverse abitudini di consumo dei single, più individualizzate e digitalizzate, che ben si combinano con l’evoluzione dell’offerta del retail, che sarà chiamato, secondo Confesercenti, ad “adeguare formati, assortimenti e servizi a una domanda sempre più frammentata e personalizzata”. Dal sondaggio condotto da Ipsos su un campione di consumatori emerge per esempio che, pur escludendo i motivi di lavoro, chi vive da solo mangia più spesso fuori casa (lo fa da 2 volte in su a settimana il 27% dei single, contro il 21% delle famiglie), ma anche ordina maggiormente pranzi o cene a domicilio o da asporto (abitudine da almeno 2 volte a settimana per il 16%, contro il 13% di tutte le famiglie), acquista più confezioni monoporzione (11% rispetto alla media del 4%) e piatti pronti o semipronti (lo fa abitualmente il 20%, contro il 9-10% dei nuclei più numerosi).
Curiosamente, invece, il dato si inverte tra chi ha risposto di non fare viaggi e vacanze: il 15% dei single contro il 3% di chi ha minori a carico. Quanto ai canali utilizzati più frequentemente per gli acquisti alimentari, chi vive da solo è sotto la media per supermercati o ipermercati (61% rispetto al 72%) e sopra (9% a 4%) per gli acquisti online con consegna a domicilio. Quanto, infine, alle voci di spesa extra alimentari, i single sono sopra media per attività di tempo libero, elettronica e tecnologia, servizi di connettività e abbonamenti digitali, mentre scendono sotto il livello generale per abbigliamento, accessori e cura della persona.
Quando gli animali domestici superano i neonati
Un altro dato che fa riflettere, nell’analisi di Confesercenti, è quello relativo alla spesa per gli animali domestici, specie confrontandolo con i consumi familiari destinati ai neonati. Anche perché i dati confermano come, in un Paese come il nostro in cui la natalità è uno dei principali problemi della società, i pet stiano diventando sempre più anche una sorta di succedaneo dei bambini nelle nostre case. In linea con le stime del rapporto Assalco-Zoomark, che ha quantificato in circa 65 milioni gli animali domestici in Italia, nel 2024 per alimenti e prodotti specifici, servizi e cure veterinarie abbiamo speso complessivamente tra i 6,5 e i 7 miliardi di euro, pari a circa 500 euro annui per nucleo familiare. La stima media di Bankitalia relativamente alla spesa per i neonati nel primo anno di vita è invece sì di 700 euro al mese per figlio, per circa 8.400 euro l’anno. Ma bisogna ricordare che, lo scorso anno, in Italia sono nati solo 370 mila bambini, per cui si arriva attorno ai 3 miliardi di spesa totale per i figli più piccoli. Una somma, sottolinea il rapporto, che resta ben lontana da quanto si spende per gli animali da compagnia anche aggiungendo gli acquisti straordinari che si rendono necessari per i bebè: la spesa media sale in questo caso a circa 12 mila euro per neonato il totale annuo italiano a 4,5 miliardi.
Alberto Minazzi