Ambiente +

Vita su Marte: nuovi indizi su una presenza passata

Vita su Marte: nuovi indizi su una presenza passata

Un campione raccolto dal rover Perseverance della Nasa sul “pianeta rosso” contiene possibili indizi sull’origine biologica del reperto

Una delle grandi domande, ancora senza risposta, che si pone l’uomo è se ci sia vita al di fuori della Terra.
Fosse solo per un fattore probabilistico, vista la dimensione dell’universo, la risposta sembrerebbe positiva.
Ma, come sempre in campo scientifico, occorrono prove. Uno dei campi in cui si sta concentrando l’esplorazione dello spazio è dunque proprio questo, ovviamente partendo dai pianeti più “vicini” all’interno del sistema solare.
In uno studio pubblicato nel 2022, la Nasa ha anche stimato i tempi, pianeta per pianeta, di una “visita” umana: per Giove, l’orizzonte temporale varia tra il 2101 e il 2121; per Saturno addirittura tra il 2129 e il 2153. Ovviamente, sempre che tutto vada come previsto. Più vicino, sia per km che per tempi, è Marte, il cui suolo potrebbe essere toccato da una missione con astronauti statunitensi già nel 2038, anche se la Cina punta addirittura al 2033.
Al momento, sul “pianeta rosso”, c’è il rover Perseverance dell’Agenzia spaziale americana, che sta portando avanti il programma di esplorazione e raccolta di campioni. E proprio da un reperto, come spiega un articolo pubblicato sulla rivista Nature, sono emersi nuovi indizi sul fatto che, in passato, Marte abbia ospitato la vita.

La potenziale biofirma nel campione raccolto da Perseverance

Come illustra la Nasa, dando l’annuncio della scoperta, il campione, chiamato “Sapphire Canyon”, è stato prelevato l’anno scorso dalla roccia “Cheyava Falls” all’interno di un antico letto asciutto del fiume nel cratere Jezero.
Il rover è arrivato sul sito a luglio 2024, nel corso dell’esplorazione della formazione “Bright Angel”, una serie di affioramenti rocciosi ai margini settentrionali e meridionali di Neretva Vallis, antica valle fluviale scolpita dall’acqua e larga 400 metri.
Ora è emerso che le macchie colorate presenti sul materiale marziano potrebbero essere una sorta di “impronta digitale” che prova l’antica vita microbica. Si parla, tecnicamente, di “potenziali biofirme”, ovvero della presenza di una sostanza o una struttura che potrebbe avere un’origine biologica. “Questa scoperta di Perseverance – ha sottolineato l’amministratore ad interim della Nasa, Sean Duffy – è la cosa più vicina alla scoperta della vita su Marte. È una scoperta rivoluzionaria e che farà progredire la nostra comprensione di Marte. L’impegno della Nasa continuerà, mentre perseguiamo il nostro obiettivo di mettere gli stivali americani sul terreno roccioso di Marte”.

Una scoperta da approfondire

Attraverso la pubblicazione del risultato, la Nasa intende rendere questi dati disponibili alla più ampia comunità scientifica per ulteriori studi per confermare o confutare il suo potenziale biologico. Al momento, gli strumenti scientifici di cui è dotato Perseverance hanno permesso di scoprire che le rocce sedimentarie della formazione oltre a essere ricche di carbonio organico, zolfo, ruggine e fosforo, sono composte da argilla e limo. Ovvero materiali che, sulla Terra, sono eccellenti preservatori della vita microbica passata. “La combinazione di composti chimici che abbiamo trovato nella formazione Bright Angel – spiega Joel Hurowitz, autore principale del documento – avrebbe potuto essere una ricca fonte di energia per i metabolismi microbici. Ma solo perché abbiamo visto tutte queste firme chimiche convincenti nei dati non significava che avessimo una potenziale biofirma. Avevamo bisogno di analizzare cosa potessero significare quei dati”. E adesso sono necessari più dati o ulteriori studi prima che si possa giungere a una conclusione sull’assenza o sulla presenza della vita. Al momento, com’è stato ricordato in conferenza stampa, manca però il budget per riportare il campione sulla Terra.

Vita recente o falso allarme?

Uno degli aspetti più sorprendenti della scoperta è legato al fatto che queste specifiche rocce sedimentarie sono tra le più giovani analizzate dalla missione, suggerendo l’ipotesi che Marte potrebbe essere stato abitabile per un periodo più lungo o più tardi nella storia del pianeta di quanto si pensasse in precedenza. Al tempo stesso, però, i due minerali ricchi di ferro rilevati possono prodursi anche senza reazioni biologiche, per esempio alte temperature sostenute, condizioni acide e legame da parte di composti organici, per quanto le rocce di Bright Angel non mostrino prove di aver sperimentato le prime due e non è noto se i composti organici presenti sarebbero stati in grado di catalizzare la reazione a basse temperature. “Le affermazioni astrobiologiche, in particolare quelle relative alla potenziale scoperta di vita extraterrestre passata – ammette Katie Stack Morgan, scienziata del progetto Perseverance – richiedono prove straordinarie. E mentre le spiegazioni abiotiche per ciò che vediamo a Bright Angel sono meno probabili dati i risultati del documento, non possiamo escluderle”.

Alberto Minazzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il campo nome è richiesto.
Il campo email è richiesto o non è corretto.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.