Il rapporto Istat: si lavora di più ma si guadagna di meno e sempre più persone rinunciano a curarsi. Crollano le nascite, boom di over 80 e famiglie sempre più fragili
L’Italia è sempre meno un Paese per giovani. Non solo perché continuano ad aumentare i cosiddetti “anziani” (definizione che, peraltro, secondo i demografi andrebbe rivista, spostando l’asticella molto più in alto rispetto alla soglia tradizionale dei 65 anni). La considerazione si lega soprattutto al fatto che, pur continuando ad aumentare sensibilmente il numero degli occupati, il potere d’acquisto degli stipendi al contrario perde sempre più valore. E, in un contesto in cui il 23,1% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale (+0,3% rispetto all’anno precedente, con una punta del 39,8% al Sud), a pagare le conseguenze più pesanti sono proprio le nuove generazioni, con una ricaduta anche sulla formazione delle nuove famiglie e ancor più sulle nascite, che nel 2024 hanno toccato il minimo storico a quota 370 mila.
Si rinuncia in molti casi anche alle cure: non possiamo più permetterci neanche il dentista.
Il 9,9% degli italiani (nel 2023 la percentuale era del 7,5% e prima della pandemia al 6,3%) ha ammesso di aver rinunciato a fare visite o esami specialistici, non solo per la lunghezza delle liste d’attesa, ma anche per la difficoltà di pagare le prestazioni sanitarie.
L’Italia delle difficoltà sociali
A dipingere il quadro è il rapporto annuale dell’Istat che sul fronte economico-lavorativo, segnala lo scorso anno una crescita di 352 mila occupati, con un aumento ancora significativo anche se leggermente inferiore rispetto al 2023.
Ma l’80% dei nuovi assunti ha più di 50 anni e il valore reale dei salari cozza con il costo della vita
Le retribuzioni sono ancora sotto del 10,5% rispetto a inizio 2019 (con una perdita limitata al -4,4% se si tiene conto di contratti integrativi e cambiamento di composizione dell’occupazione). E, comprendendo anche l’occupazione indipendente, tra il 2004 e il 2024 il potere d’acquisto del reddito da lavoro è calato del -7,3%. Parallelamente a un calo della produttività media del lavoro (-2%), con forti rischi di ricambio generazionale nelle imprese, ne deriva così l’elevata quota di persone con almeno un fattore di rischio tra un reddito inferiore del 60% rispetto alla media, una grave deprivazione materiale e una bassa intensità di lavoro.
I problemi dei giovani (e delle famiglie)
Il rischio di povertà o esclusione sociale in Italia, aggiunge il rapporto, oltre che per gli stranieri e per i nuclei familiari in cui è avvenuto un decesso o lo scioglimento di un’unione, sale al 30,5% mediamente anche per chi vive in famiglie in cui il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni. La necessità di (almeno) un secondo stipendio è dunque evidente e non a caso è individuata dall’Istat come uno dei fattori principali alla base dell’aumento (del +6,3% in 20 anni) del cosiddetto “reddito familiare equivalente”, insieme alla maggior diffusione della proprietà della casa di abitazione e alla riduzione delle famiglie con figli.
Che in Italia sono ormai solo il 28,2%, superate abbondantemente dal 36,2% di persone che vivono da sole (si sfiora il 40% tra gli over 75, in particolare se donne). La percezione della famiglia è del resto ormai stravolta rispetto alla tradizione, con il 41,1% dei nuclei rappresentato, oltre che da persone sole, anche da coppie non coniugate (oltre 1,7 milioni di unioni libere, da cui è nato il 42,4% del totale dei figli contro il 10% del 1999), famiglie ricostituite (840 mila) e genitori soli non vedovi. Al dato sull’instabilità coniugale (nel 2023 si sono registrate oltre 82 mila separazioni e circa 80 mila divorzi a fronte di 184 mila matrimoni, il 58,9% con rito civile) va quindi aggiunto quello che dice come, con un’accentuazione legata soprattutto alla crisi economica, il 63,3% dei giovani tra 18 e 34 anni vive ancora con i genitori.
L’Italia che invecchia: meno nati, più anziani
Tutto ciò ricade a cascata anche sull’invecchiamento della popolazione: il report evidenzia, al riguardo, il superamento numerico degli over 80 (vicini a quota 4,6 milioni) sui bambini sotto i 10 anni. L’età in cui una madre decide di mettere al mondo il primo figlio continua a crescere, passando dai 25,9 anni della generazione del 1960 ai 30,3 delle nate nel 1983, per le quali si stima una media di 1,44 figli contro i 2,31 di 50 anni prima. La riduzione della fecondità è dunque costante, con in parallelo un aumento del ricorso alla fecondazione assistita del +72,6% negli ultimi 10 anni. E fa riflettere la statistica secondo cui, nonostante il posticipo della genitorialità, il 70% degli adolescenti immagina di avere in futuro dei figli. Nel frattempo, però, ad aumentare sono gli anziani: il 21,6% degli italiani e il 26,3% delle italiane, nel 2023, aveva più di 65 anni. Fortunatamente, in tale prospettiva, l’aumento della longevità si accompagna a un miglioramento delle condizioni di vita in età avanzata, tant’è che l’Istat suggerisce una nuova definizione di vecchiaia, aggiornando il limite a 74 anni per gli uomini e 75 per le donne. Una “soglia dinamica”, che abbasserebbe la quota rispettivamente all’11,4% e al 14,2% del totale di cittadini per genere.
Alberto Minazzi