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Università: svolta sul merito

Università: svolta sul merito

Docenti valutati ogni due anni, più risorse agli atenei che premiano la qualità

Con una metafora, si può dire che, adesso, una vera meritocrazia si è iscritta all’università anche dietro alla cattedra. Il disegno di legge intitolato “Revisione delle modalità di accesso, valutazione e reclutamento del personale ricercatore e docente universitario”, proposto dal ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini e approvato nell’ultima riunione dal Consiglio dei ministri, punta infatti a produrre l’effetto di un superamento dei limiti e delle criticità intrinseche all’attuale sistema di Abilitazione scientifica nazionale. Si va cioè a incidere su regole che, sottolinea una nota dello stesso Ministero, si sono nei fatti tradotte in una sorta di “diritto alla chiamata in ruolo, con un eccessivo allungamento della validità del titolo abilitativo”, perdendo quindi il loro senso di “presidio di merito e qualità”.

I motivi dell’intervento ministeriale

La proposta di legge è il punto d’arrivo del lavoro svolto da un gruppo di lavoro individuato dal ministro per migliorare alcuni punti critici della legge 240. Il reclutamento dei docenti universitari, prosegue il Ministero, è diventato infatti “ un elefantiaco processo di selezione indipendente dalla grandezza e dalle specificità del settore scientifico interessato, che nel tempo ha visto aumentare anche i contenziosi”. In sostanza, i meccanismi fin qui applicati, hanno da un lato portato a ingenerare nei candidati l’aspettativa di un automatico accesso ai ruoli universitari, nonostante la normativa vigente precisi espressamente che dall’abilitazione non deriva in alcun modo un simile diritto. Al tempo stesso, ne è derivata anche la presenza di troppi abilitati rispetto ai posti disponibili, di conseguenza non assorbibili attraverso le ordinarie procedure di chiamata da parte degli atenei. Una distorsione del sistema di reclutamento di professori ordinari e associati che ha inciso negativamente sulla stessa programmazione strategica delle università.

Chi sono i docenti “migliori”, che portano più soldi agli atenei

Una delle soluzioni adottate con il disegno di legge prevede dunque l’introduzione nel sistema di una valutazione dei nuovi assunti, da effettuare con cadenza biennale. Gli insegnanti verranno così giudicati sulla base della dimostrazione del contributo fornito, nel periodo successivo al loro accesso al ruolo, al miglioramento della qualità delle attività dell’università che li ha inseriti nel proprio corpo docente. A determinare chi siano stati i docenti migliori saranno in tal modo parametri come gli indicatori di produttività, le pubblicazioni effettuate e, in generale, l’intera attività complessivamente svolta. Una graduatoria che avrà conseguenze tangibili, visto che le risorse disponibili attraverso il Fondo di finanziamento ordinario delle università (che, per il 2025 ammonta complessivamente a 9,4 miliardi di euro) saranno ripartite in maniera più cospicua agli atenei che hanno assunto i migliori docenti. Un sistema che, è l’auspicio, potrà innescare un sistema virtuoso che consenta di elevare il livello dell’insegnamento.

Un adeguamento agli standard europei

Grazie al sistema previsto dal disegno di legge, l’Italia si adeguerà anche agli standard vigenti in materia all’interno dell’Unione Europea. “È un passo importante – ha commentato Anna Maria Bernini – per allineare il sistema di reclutamento universitario ai migliori standard internazionali. Senza stravolgere i processi che hanno reso il nostro sistema universitario un polo di eccellenza e di crescente attrazione, vogliamo migliorarne quegli elementi che, alla prova dei fatti, si sono dimostrati disfunzionali o non centrati sull’obiettivo”. “È una proposta – prosegue il ministro – che punta al merito, alla trasparenza del sistema. Interveniamo con poche ma precise modifiche, puntuali e decisive, che riguardano tutti i più importanti momenti di selezione, valutazione e progressione nella carriera del nostro personale universitario, valorizzando autonomia e responsabilità degli atenei. L’obiettivo è preservare professionalità ed eccellenza”.

Il nuovo sistema di reclutamento

Come ricorda anche Palazzo Chigi, il nuovo modello prevede l’istituzione di una piattaforma informatica, gestita dal Ministero, attraverso cui i candidati, con autocertificazione, potranno dichiarare il possesso dei requisiti minimi richiesti in termini di produttività e qualificazione scientifica per partecipare ai concorsi, fissati dallo Stato. La gestione della selezione, però, non avverrà più a livello centrale, ma sarà demandata alle singole università, con commissioni giudicatrici per il reclutamento dei professori ordinari, associati e dei ricercatori (anche a tempo determinato) composte da almeno 4 membri esterni, selezionati tramite sorteggio tra i docenti disponibili a livello nazionale appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, e almeno un membro interno all’università che ha indetto la procedura, scelto dall’ateneo stesso. Per evitare la duplicazione delle valutazioni, a quella centralizzata effettuata nell’ambito dell’abilitazione ne seguirà una seconda legata al concorso per la chiamata nei ruoli di professore di prima o seconda fascia. Si prevede anche una procedura volta a favorire la circolazione del personale già in ruolo. Infine, tra le principali novità sottolineate dal Ministero rientra anche la piena attuazione alla riforma sui nuovi “gruppi scientifico-disciplinari” prevista dal Pnrr.

Alberto Minazzi

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