Non sono solo le mutazioni delle cellule malate a stabilire il destino di un tumore: i risultati di uno studio statunitense aprono a possibili cure “su misura”
Parlare genericamente di “cancro” sta diventando sempre più improprio. Da tenere in conto, non ci sono oltretutto solo le profonde differenze oggettive tra le diverse tipologie di tumore, che incidono sulle possibilità di cura e ne rendono alcuni molto più letali di altri. La nascita e l’evoluzione di queste malattie, oltre che la risposta ai trattamenti, andrebbe meglio considerata come una sorta di unicum per ogni individuo che ne è colpito.
Il cambio di prospettiva nella cura dei tumori
La ricerca sta dunque cercando sempre più di arrivare al punto in cui sarà possibile definire cure personalizzate e mirate per ciascun singolo caso, al fine di massimizzarne l’efficacia. Un obiettivo verso il quale potrebbe essere stato compiuto ora un importante passo avanti grazie ai risultati di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori guidato dalla Scuola di Medicina Icahn al Mount Sinai, che ha per la prima volta evidenziato un coinvolgimento dei geni che ci hanno trasmesso i nostri genitori. Pur richiedendo ancora, per la convalida dei risultati ottenuti, ulteriori approfondimenti su popolazioni umane diverse, visto che il campione dei 1.064 pazienti (malati di 10 tipi di cancro) preso in considerazione era accomunato da una discendenza europea, lo studio statunitense pubblicato sulla rivista Cell potrebbe infatti rappresentare una vera e propria “rivoluzione copernicana” nell’approccio alla cura, consentendo di virare verso la medicina di precisione.
La genetica ereditaria nell’evoluzione del cancro
Finora, dal punto di vista genetico, ai fini della definizione delle terapie sono state prese in considerazione esclusivamente le caratteristiche tipiche delle mutazioni intervenute nelle sole cellule tumorali. In realtà, spiegano i ricercatori, a giocare un ruolo fondamentale nel destino del tumore, essendo in grado di indirizzarne tutte le fasi fin dalla formazione, sarebbe anche il dna ereditato alla nascita. Il “genoma della linea germinale” individuale, con la combinazione tra milioni di varianti che caratterizza e differenzia ognuno di noi, preparerebbe cioè il terreno al cancro e sarebbe dunque in grado di spiegare le differenze tra caso e caso, dall’aggressività della malattia alla risposta del sistema immunitario, riscontrate dai medici oncologi. E prendere in considerazione l’intero patrimonio genetico offrirebbe così enormi vantaggi sia dal punto di vista diagnostico che per la scelta della terapia da applicare al caso concreto.
La peptidomica di precisione
Nel loro lavoro, i ricercatori hanno applicato la peptidomica di precisione. Si tratta di un approccio tecnologico avanzato che ha consentito, per le oltre 337 mila varianti genetiche ereditarie mappate, di rivelare l’impatto che ognuna di esse produce sui proteomi, cioè le proteine prodotte dal genoma dei malati di cancro, influenzandone la struttura e la funzione all’interno delle cellule. Sono state così identificate “rare varianti patogene e comuni della linea germinale nei geni del cancro che potenzialmente influenzano le caratteristiche proteomiche. Questi risultati suggeriscono che la proteogenomica di precisione potrebbe informare gli approcci di stratificazione del rischio del paziente e di prevenzione e intercettazione”. “Il genoma della linea germinale – conclude lo studio – è l’arena fondamentale in cui il dramma del cancro si svolge e viene rappresentato. In mezzo al caos mutazionale, la linea germinale svolge un ruolo fondamentale che può consentire o vincolare l’evoluzione del cancro, dettando le probabilità di molti fenomeni clinicamente rilevanti: dalle mutazioni del cancro alle risposte immunitarie contro le cellule tumorali”.
Alberto Minazzi