Dal 15 novembre al 25 gennaio 2026, il centro culturale San Gaetano ospita “Saul Leiter. Una finestra punteggiata di gocce di pioggia”. Un’ immersione nello sguardo poetico e imperfetto di uno dei grandi maestri della fotografia del Novecento
Arte visiva, pittura, street photography; maestro zen, poeta-clandestino: se cercate su Google il nome di “Saul Leiter”, i risultati degli articoli che lo riguardano srotolano parole che guardano all’arte visiva – ovvio – e a una poetica essenziale, più di quel che si richiede a un fotografo di fama internazionale con una filosofia netta e definita. Saul Leiter è stato un fotografo sfuggente, etereo, intimo: la mostra a lui intitolata socchiude la porta ai suoi scatti rimasti perlopiù segreti, per riscoprire la sua visione fugace e imperfetta del mondo.

Saul Leiter. Una finestra punteggiata di gocce di pioggia
La mostra monografica che prende il via sabato 15 novembre (e fino a domenica 25 gennaio 2026) al centro culturale San Gaetano di Padova raccoglie 126 fotografie in bianco e nero, 40 a colori e 42 tra dipinti e rari materiali d’archivio – cinque riviste, un documento filmico, stampe vintage e moderne.
Saul Leiter. Una finestra punteggiata di gocce di pioggia non è solo “mettere in mostra”: gli spazi, la luce e i punti di vista sono pensati per far immedesimare i visitatori negli occhi, e nello sguardo, di Leiter.
Alcune sezioni sono pensate per ricreare i giochi ottici del fotografo di Pittsburg: riflessi, trasparenze, frammenti visivi che riprendono la grande mela, New York, in un dettaglio.

Istantanee poetiche: la quotidianità secondo Leiter
“Le immagini di Leiter durano quanto il battito di un ciglio, posizionate sul bordo di qualcosa. Sono istantanee, forme brevi, frammentate, come annotazioni di realtà realizzate con una maestria e una metrica che ricordano gli haiku.
“Il suo gesto è quello di un calligrafo: veloce, preciso, senza scuse”, spiega Anne Morin, curatrice della mostra organizzata da Vertigo Syndrome, in collaborazione con diChroma photography, Saul Leiter Foundation e l’amministrazione Comunale di Padova.
A differenza dei suoi colleghi, che nella New York del secondo dopoguerra cercavano di catturarne la magnificenza, Saul Leiter si è distinto per “opposizione”. Nei suoi lavori, l’intento è stato rivolto a cercare la bellezza nella quotidianità e nell’imperfezione, in un qualcosa che difficilmente si sarebbe potuto pensare come “bello”: il vapore dai tombini, gli ombrelli nella pioggia, i riflessi sui vetri newyorkesi, il traffico. Pioniere del colore – già nel 1948, quando le tinte erano considerate frivole e meramente commerciali – collaborò con Esquire, Harper’s Bazaar e, nei due decenni successivi, con Show, Elle, British Vogue, Queen e Nova.
Quei frammenti di infinite possibilità
Lo stile di Saul Leiter, è ciò che lo distinse dagli altri, fu la sua formazione come pittore, che modellò il modo con cui immortalava i suoi soggetti. Ciò rivela non solo una tecnica, ma un pensiero profondo e estetico nella sua purezza, e forse proprio per questo inafferrabile, spirituale, così come fu egli stesso nella sua vita: sfuggente, refrattario alla fama, riservato.
Ne sono un esempio i nudi in bianco e nero, scattati tra gli anni Quaranta e Sessanta, ritraenti le donne conosciute durante quel periodo, e riscoperti solo nel 2018.
Di sé stesso, Leiter diceva: “Non ho una filosofia. Ho una macchina fotografica. Guardo attraverso l’obiettivo e scatto. Le mie fotografie sono solo una piccola parte di ciò che vedo e che potrebbe essere fotografato. Sono frammenti di possibilità infinite.”

Dal cuore di New York ai grandi musei del mondo
Dall’anno seguente la sua morte – nel 2013, a novant’anni – la Saul Leiter Foundation conserva e promuove il suo archivio, spesso riscoprendo i suoi scatti e le sue opere artistiche.
La mostra di Padova sottolinea la doppia identità espressiva di Leiter – tra foto e dipinti – rivelandone sensibilità e poetica, per un artista internazionale che trova i suoi lavori esposti in alcuni dei più grandi musei al mondo, come il Whitney Museum of American Art al Victoria and Albert Museum.
Damiano Martin





