Dopo quello di Bali aperto nel 2020, a Taranto il primo centro in Europa che ospiterà i cetacei rimessi in libertà per il loro graduale reinserimento in natura
I delfini, per la loro natura socievole e la loro grande intelligenza, sono riusciti a creare un ottimo rapporto con l’uomo, che ha portato all’organizzazione in tutto il mondo di numerosi delfinari dedicati, dove è possibile il contatto diretto per i visitatori con i cetacei. In Italia, le strutture più famose che detengono questi animali per scopi espositivi sono il parco Oltremare di Riccione e Zoomarine a Torvajanica. Ma le legislazioni sul tema sono in evoluzione, indirizzandosi sempre più verso il divieto di mantenere i delfini in cattività. Un intento di protezione che, però, deve fare i conti con la realtà. “Con la fine delle esibizioni obbligatorie nei delfinari, molti delfini non possono semplicemente essere reintrodotti in mare aperto. E non possono certo essere venduti”, sottolinea la Jonian Dolphin Conservation, l’associazione no profit, nata nel 2009 proprio con l’obiettivo di proteggere i cetacei e salvaguardare il nostro mare, che, prima in Europa, sta per coronare il progetto “San Paolo Dolphin Refuge”: la realizzazione di un rifugio marino per i delfini provenienti dalla cattività.
Il progetto San paolo Dolphin Refuge
L’idea nasce già nel 2018, anticipando i cambiamenti legislativi continentali in materia, con la missione di “offrire una nuova vita, più etica e rispettosa, a delfini nati o vissuti a lungo in cattività”. A livello mondiale, c’è il precedente del santuario Umah Lumba, nell’isola di Bali, che ha attivato già nell’estate del 2020 il primo centro di riabilitazione permanente al mondo, in cui insegnare nuovamente ai cetacei come catturare cibo e interagire, per esempio riattivando il sonar, con altri delfini in spazi aperti. Per la prima struttura di questo tipo nel Mediterraneo, l’associazione ha ottenuto nel 2023 la concessione demaniale marittima per la realizzazione dell’opera nell’area di 7 ettari protetta dall’isola di San Paolo, la più piccola delle isole Cheradi, all’interno del golfo di Taranto. Testati lo scorso anno tutti i materiali necessari per la costruzione delle strutture galleggianti, si è quindi passati alla fase realizzativa vera e propria. Al riguardo, spiega Carmelo Fanizza, fondatore della Jonian Dolphin Conservation di Taranto e responsabile del progetto, il cronoprogramma prevede il completamento delle opere a mare entro ottobre, mentre a terra i lavori sono terminati e ora sta iniziando l’allestimento di laboratori e control room. Mancherà quindi solo l’ultimo step, l’autorizzazione ministerale che richiede 6 mesi dalla presentazione dell’istanza. La parte burocratica è pronta, ma il presupposto per la presentazione è che i lavori siano terminati, per cui si spera di riuscire a ospitare i primi animali a partire dalla primavera-estate 2026.

80 delfini in cerca di reinserimento
“Non si tratterà – precisa Fanizza – di un “ospedale”, ma di un centro di reinserimento in cattività controllata, in un ambiente più naturale. Non si tratta infatti di un’operazione in contrasto con la cattività, ma del tentativo di dare risposta a un’esigenza comunitaria, a un momento di necessità che abbiamo letto in anticipo, ma è arrivato probabilmente ancor prima del previsto. Perché sono oltre 80 i tursiopi, in Europa, che necessitano di un reinserimento”. Non è ancora possibile, aggiunge il responsabile, dire oggi quali saranno i primi delfini inseriti. “Valuteremo nei prossimi mesi le priorità a seconda dei vari casi, non potendo nemmeno stabilirne ora il numero, che sarà variabile dovendo tener conto anche delle relazioni e delle dinamiche sociali dei gruppi familiari. Di certo, ci sarà una separazione per sesso”. Un’altra separazione prevista è quella con gli animali liberi. “L’area del golfo di Taranto – conferma Fanizza – è caratterizzata dalla presenza di diversi cetacei, per cui utilizzeremo delle barriere antintrusione a fini cautelari”. Il percorso di reinserimento prevederà dunque il trasporto degli animali nella struttura e il loro progressivo reinserimento in ambiente naturale, effettuato con l’affiancamento costante dei team che si sono fino a quel momento occupati degli animali, anche per continuare ad applicare lo stesso regime alimentare e sanitario, che sarà pian piano modificato per cercare il miglior adattamento nell’ambiente e quindi con tempistiche diverse caso per caso.

L’organizzazione del rifugio
“Qui, dove nuotano liberi tursiopi, stenelle, grampi e persino capodogli – scrive la Jonian Dolphin Conservation sulla pagina web dedicata – i delfini provenienti da delfinari e acquari trovano un ambiente più naturale, dove poter riacquisire i loro comportamenti spontanei e vivere in condizioni di maggiore benessere”. A tal fine sono previste sostanzialmente 3 tipologie di strutture. La prima è una piattaforma galleggiante per il personale, dotata di container abitativi per il personale di guardiania, all’interno del quale trovano posto anche un ambulatorio veterinario e un’area per la preparazione e conservazione del cibo, attrezzata con celle frigorifere. Vi sono poi le vasche in mare, a partire dalla prima principale realizzata, da 1.600 metri quadri e 8 metri di profondità, connessa a una vasca veterinaria da 16 m², corredate di piattaforme galleggianti, impianti di videosorveglianza, illuminazione e strutture ombreggianti. Il rifugio verrà quindi gestito dalla Control Room situata al primo piano dello storico Palazzo Amati, situata nel centro cittadino, a 2 miglia di distanza dalle vasche, equipaggiata con tecnologie di monitoraggio in tempo reale, dove saranno raccolti i dati inviati da telecamere e sensori marini per la gestione operativa e l’identificazione tempestiva di eventuali criticità.
Un modello da replicare in un momento delicato
Il San Paolo Dolphin Refuge, sottolineano i responsabili, è un modello etico frutto della collaborazione con un team internazionale di esperti, seguito come responsabile da Carmelo Fanizza, fondatore della Jonian Dolphin Conservation di Taranto. “Il nostro obiettivo – spiegano – è renderlo un modello replicabile, ispirando nuove strutture simili nel mondo e contribuendo a scrivere una nuova pagina nella gestione degli animali marini”.
Il rifugio è pensato anche come centro di ricerca e divulgazione, con la previsione di progetti educativi per scuole e turisti. Una risposta, dunque, a un problema più ampio, visto che i parchi marini, che, secondo un rapporto del 2019 del World Animal Protection, ospitavano oltre 3 mila delfini in cattività (e Ric O’Barry, fondatore del Dolphin Project di Bali, sottolinea che la loro vita è molto più stressante di quella di qualsiasi altro animale all’interno di uno zoo), sembrano aver segnato il loro tempo: prima un cambio di prospettiva, da quella educativa al puro intrattenimento, poi una vera e propria fase critica. Basti pensare alle difficoltà economiche di Marineland Antibes, la più grande struttura di questo tipo in Europa, che quest’anno è stato costretto alla chiusura a causa del notevole calo di visitatori e delle normative sempre più stringenti.
Il tema normativo: regole sempre più stringenti
“Paesi come la Francia hanno già intrapreso la chiusura dei delfinari per tutelare il benessere animale”, ricorda la Jonian Dolphin Conservation. Risale infatti al 2021 la legge transalpina che vieta spettacoli, riproduzione e nuove acquisizioni di cetacei a partire dal 2026. E se manca ancora un divieto europeo, con la Direttiva Habitat del 1992, mirata alla protezione degli habitat naturali, che resta uno dei principali riferimento insieme alle direttive sui giardini zoologici e alle linee guida del 2021 per chiarire l’applicazione delle norme sulla cattività, anche altri Stati si sono mossi. In Gran Bretagna, i delfinari sono stati chiusi da oltre 10 anni; il Belgio ha fissato il 2037 come data limite per la chiusura del suo ultimo delfinario, il Boudewijn Seapark di Bruges, vietando nel contempo anche la riproduzione e l’importazione di delfini in cattività; in Messico, da giugno di quest’anno è in vigore una legge che vieta l’uso di delfini e altri cetacei per l’intrattenimento e l’alimentazione. Ancora, la Grecia ha proibito gli spettacoli con animali, Slovenia, Croazia e Cipro vietano la cattura e la detenzione in cattività per fini commerciali, in Ungheria non si possono importare delfini. Quanto all’Italia, in attesa di leggi specifiche che pongano fine alle esibizioni obbligatorie, dal 2019 è vietato il nuoto con i delfini.
Alberto Minazzi