Tra le nebbie del Nord-Est, due uomini e un ragazzo cercano un ultimo bicchiere e trovano, invece, un frammento di vita. Nel suo film, Sossai riprende l’eredità di Piovene e Maino, raccontando un’Italia che sopravvive solo nei ricordi
“Il Veneto è certamente elemento simbolico e narrativo centrale. E’ anche onirico. Ed è tutto ciò che conosco. E’ punto di partenza ma anche orizzonte. E’ il luogo che la vita ha scelto per me ed è ciò che conosco”.
Spiega così, Francesco Sossai, il legame con la sua terra che l’ha portato però a varcare i confini non solo regionali ma anche nazionali quando “tutto ciò che conosce” l’ha tradotto in immagini.
“Le città di pianura”, il film con il quale è approdato a Cannes, è stato accolto con standing ovation e ottime recensioni dalla stampa internazionale che l’ha definito una produzione “profondamente locale e sorprendentemente universale”.
Certo è che la scelta dell’ambientazione per Francesco Sossai, giovane regista bellunese (è nato a Feltre nel 1989) che ha esordito nel 2019 con il mediometraggio Il compleanno di Enrico, seguito nel 2021 da Altri cannibali, non è né nuova né casuale.
Tre film, un unico film
Tanto che, ci rivela, i suoi tre lavori potrebbero esser visti uno dopo l’altro perché, se anche in ognuno di loro il suo viaggio prende una strada diversa, spirito e motivazione rimangono gli stessi.
“Mi piacerebbe che, come quando una volta si scattavano le foto di un paesaggio con la pellicola e poi si mettevano tutti gli scatti ad asciugare cercando di formare con ciascuno di quelli il paesaggio unitario, così si guardasse al mio lavoro – spiega il regista -. Cambia la prospettiva, certo, ma c’è uno stesso luogo in cui voglio arrivare ed è la mia terra”.
Un racconto unico e lunghissimo, dunque, dove il Veneto è il vero filo conduttore.

Le città di pianura
Nel suo ultimo film, ambientato nella pianura veneta, Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla), due amici di mezza età, partono da Belluno alla ricerca di un ultimo bicchiere, accompagnati dal giovane Giulio (Filippo Scotti), incontrato per caso lungo la strada.
Nel loro vagare da Belluno fino alla pianura veneta, attraversando città, zone industriali e campagne sospese tra memoria e oblio, il viaggio, iniziato un po’ come fuga, diventa presto un ritorno, un percorso attraverso i ricordi che riaffiorano nei luoghi e nelle parole.
Nel confronto tra generazioni, tra ciò che si è perso e ciò che resta, i tre imparano a vivere un presente che, inevitabilmente, diventerà anch’esso memoria.

Dove il confine scompare
“I due protagonisti sono ancorati ai loro ricordi del passato ma attraverso questo loro viaggio creeranno un ricordo nuovo. Il punto è: che rapporto abbiamo con il passato? – si chiede Francesco Sossai -. Il viaggio può esser anche dunque il tentativo di trovare il futuro del passato per darci una mappa, per seguire una linea che aiuti a guardare al futuro in modo diverso”.
Un viaggio nella propria terra, così come quello che ha fatto lo stesso regista negli ultimi cinque anni per questo film.
“Volevo girarlo in pianura – dice – Così ci ho viaggiato per conoscerla meglio, cambiando la scala del viaggio. Di solito si viaggia nel mondo cercando l’altro e non si trova niente, perché oramai tutto è omologato. Cambiando la scala della mia mappa di viaggio, io ho trovato il mio film”.
Ne “Le città di pianura” emergono così molti spunti di riflessione su un Veneto che l’autore cerca di dare nella sua autenticità, scoprendone però anche nuove verità.
“Non c’è più nessuno in giro” – chiosa -. Viaggiando molto nella pianura tra Padova e Treviso ho capito che anche se sembra sempre che si stia uscendo, in realtà non si esce mai. Non c’è più un confine tra città e campagna ed è inquietante, perché c’è un territorio senza forma e non sappiamo che conseguenze avrà tutto questo. Nelle campagne c’è di fatto una desolazione urbana”.

“Non c’è più nessuno”
“Le città di pianura” riprende dal punto di vista cinematografico un grande tema che ha attraversato la letteratura del Novecento.
Come Guido Piovene, fino ad autori più recenti come Francesco Maino e Vitaliano Trevisan, Francesco Sossai esplora il Veneto in un viaggio che non è solo geografico ma anche interiore: una sorta di pellegrinaggio tra luoghi che restano e memorie che svaniscono.
Così, il gesto di bere un “ultimo bicchiere” che anima i protagonisti Carlobianchi e Doriano si carica di significato e il viaggio notturno e sempre in movimento diventa allora un modo per abitare il presente, sapendo che quel presente diventerà presto un ricordo. Proprio come i viaggi di Piovene e le riflessioni di Maino evocavano la sparizione di un’Italia che non c’è più.
Consuelo Terrin



