Colpisce soprattutto le donne dopo traumi emotivi, ma è negli uomini che la cardiomiopatia di Takotsubo fa più vittime. Un nuovo studio svela dati inquietanti su età, genere e rischio di morte
Prende curiosamente il suo nome, cardiomiopatia di Takotsubo, dall’omonima trappola giapponese per polpi, che ha una forma simile a quella che assume il ventricolo sinistro di chi ne è colpito.
Ma è molto più nota come sindrome del cuore infranto, perché, soprattutto nelle donne, è scatenata da un forte stress emotivo, come quelli legati alla perdita di una persona cara, a una rottura sentimentale, a un divorzio o a un altro tipo di lutto. E, come evidenzia uno studio descritto in un articolo pubblicato sul Journal of the American Heart Association, c’è una netta prevalenza femminile (l’83% sul totale di quasi 200 mila pazienti maggiorenni che l’hanno accusata tra il 2016 e il 2020 analizzato) tra coloro che si trovano ad affrontare questa disfunzione reversibile.
Ma è tra gli uomini, che invece la provano in particolare dopo uno stress fisico tipo sepsi, shock o dovuto ad alcune forme tumorali, che si riscontra la mortalità collegata più elevata. Questa, dicono sempre i ricercatori dell’Università dell’Arizona di Tucson, si verifica infatti per l’11,2% dei maschi contro il 5,5% delle femmine.
Una cardiomiopatia che può risolversi da sola, ma anche condurre alla morte
La cardiomiopatia di Takotsubo, provocata dal rilascio di una quantità eccessiva di ormoni dello stress come cortisolo e adrenalina, può manifestarsi con dolori al petto e mancanza di respiro.
Pur trattandosi di una condizione reversibile, che può risolversi spontaneamente nell’arco di qualche giorno o settimana, come ricorda l’articolo può però anche portare a una significativa mortalità (la percentuale media è del 6,5%) e morbilità ospedaliera. Essendo inoltre noto che questa condizione è associata a una disparità di sesso e razza, ma essendo ancora limitate le conoscenze relative al suo decorso, gli studiosi si sono dunque concentrati sul più ampio database disponibile per studiare trend e modalità per provare a determinare l’incidenza e delle complicanze cardiovascolari associate. Il primo dato emerso è quello che, nel corso degli anni studiati, non è stato riscontrato alcun miglioramento, evidenziando come siano quindi necessari ulteriori miglioramenti nell’assistenza medica per ridurre la mortalità e studiare la ragione delle differenze di genere nei risultati.
Cuore infranto: il peso dell’età
Oltre a quello basato sul sesso del paziente, i ricercatori hanno riscontrato un aumento della prevalenza anche tra i pazienti di razza bianca e reddito più elevato. Ma, soprattutto, il rischio di sviluppare la cardiomiopatia aumenta all’aumentare dell’età, con un incremento significativo in particolare a partire dalla mezza età, con un’incidenza massima tra gli over 60 ma anche un incremento della stessa tra le 2,6 e le 3,5 di chi ha tra 46 e 60 anni rispetto a chi rientra nella fascia 31-45 anni.
Tra le possibili spiegazioni, si è ipotizzata una combinazione di fattori, come i livelli di stress, le variazioni ormonali, l’aumento di consumo di alcool o tabacco, l’ipertensione o l’iperlipidemia non adeguatamente trattate. E proprio i dati correlati all’età potrebbero risultare in prospettiva un importante strumento diagnostico per distinguere questa sindrome dall’infarto. Quanto, infine, alle complicanze maggiori, si è verificato uno shock cardiogeno nel 6,6% dei casi, la fibrillazione atriale nel 20,7%, l’arresto cardiaco nel 3,4%, l’insufficienza cardiaca congestizia nel 35,9% e l’ictus nel 5,3%.
Alberto Minazzi