L’Istat conferma le scelte dei nomi da parte dei italiani nel 2024, ma anche la prosecuzione del crollo della natalità. E arriva una proposta per rilanciarla attraverso incentivi economici nelle pensioni
In un Italia che fa sempre meno figli, i pochi che ci sono si chiamano sempre più Sofia (se femmina) e Leonardo (per i maschietti).
È questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge dal report su natalità e fecondità della popolazione residente relativo all’anno 2024, appena pubblicato dall’Istat.
Un trend di denatalità di lunghissimo periodo che non può che essere preoccupante anche nella prospettiva della costante diminuzione della popolazione in età lavorativa che determinerà inevitabili ricadute sul sistema pensionistico. Anche se una delle nuove idee circolate nelle ultime ore propone proprio un intervento sulle pensioni per bloccare la denatalità italiana.
Nascite in Italia: siamo ai minimi storici
La riflessione non può che partire dalle fredde cifre dell’Istituto di statistica: nel 2024, le nascite in Italia sono state poco meno di 370 mila, con un calo di quasi 10 mila unità rispetto all’anno precedente.
La variazione percentuale annua del -2,6%, aggiunge l’Istat, è in linea con quella media (-2,7%) nel periodo tra il 2008 (quando i nati, oltre 576 mila, toccarono il picco del nuovo millennio) e il 2023. E la tendenza non sembra volersi arrestare.
Anzi, i dati provvisori relativi al periodo gennaio-luglio 2025 parlano di poco meno di 198 mila nascite: 13 mila in meno rispetto agli stessi 7 mesi del 2024, con un calo del -6,3%, con le punte del -7,8% al Centro e del -7,2% al Sud.

Di qui, il raggiungimento del minimo storico del numero medio di figli per madre, che era l’1,19 del 1995 e si è attestato lo scorso anno a 1,18 (ma 1,11 se si guarda alle sole donne di cittadinanza italiana) rispetto agli 1,20 del 2023, con un ulteriore calo a 1,13 nei primi 7 mesi del 2025. E se cresce, dal 42,4% al 43,2%, la quota di figli nati fuori dal matrimonio, aumenta, da 31,7 a 31,9 l’età media delle madri alla nascita del primo figlio.
I nomi più amati dagli italiani
Passando agli aspetti più curiosi del rapporto, l’Istat evidenzia l’aumento dei nati registrati col doppio cognome, opportunità introdotta dalla sentenza della Corte Costituzionale di dicembre 2016: sono stati il 6,7% del totale, con un aumento del +4,3% dal 2020 e percentuali più elevate di questa scelta genitoriale al Nord (8,6%) e al Centro (8,3%). E, a proposito di scelte, come accennato, è ancora Leonardo (con il 3,47% del totale dei nuovi nati), così come accade dal 2018, il nome maschile maggiormente di tendenza, al primo posto nelle Isole, al Centro (tranne Umbria e Marche, dove prevale Edoardo) in tutte le regioni del Nord, tranne la Provincia di Bolzano (qui il primo posto è di Noah) e la Valle d’Aosta, dove guidano Edoardo e Tommaso, che si confermano, nell’ordine, anche a livello nazionale, come secondo e terzo nome più scelto. Al Sud, Francesco, che è sceso al 6° posto in Italia, è primo stabile in Molise, Puglia e Calabria, con Antonio che primeggia in Campania e Basilicata.

Quanto alle femmine, conferma del podio nazionale con Sofia (2,59%, ma il picco dal 1999 resta il 3,34% del 2010 e del 2016), Aurora e Ginevra. Le eccezioni territoriali riguardano ancora Bolzano (prima Emma) e Valle d’Aosta (Beatrice) al Nord, Marche (Vittoria) e Lazio (Ginevra) al Centro e soprattutto il Sud, con Aurora prima in Sicilia e Abruzzo, Giulia in Basilicata, Vittoria in Campania, Ginevra in Calabria e un pari merito in Molise tra Aurora, Beatrice e Ginevra.
La scelta del nome
Ma cosa spinge i futuri genitori a scegliere un nome piuttosto che un altro? A scorrere l’elenco, emergono scelte più classiche rispetto agli ultimi anni, anche se la tendenza è quella a puntare più sui nomi alla moda che su quelli tradizionali all’interno della famiglia. Un discorso che vale anche per gli stranieri residenti, tra cui, anche per favorire l’integrazione dei figli, si stanno diffondendo anche i nomi italiani: Sofia (seguita da Sara) conferma il primo posto tra le famiglie di origine straniera; Leonardo (con Matteo e Luca) è ormai tra i nomi più diffusi per esempio all’interno della numerosa comunità rumena.
A incidere sulla diffusione dei nomi sono l’influenza di media e social network, canzoni, film e scelte dei vip, ma in generale anche il suono ritenuto piacevole (considerando anche l’abbinamento con il cognome ed evitando fastidiose assonanze) e la semplicità di pronuncia. E poi, ovviamente, il significato. Leonardo, così, trae origine da una parola di origine longobarda che significa “leone forte o coraggioso”.
Sofia, invece, deriva dal greco antico, dove aveva il significato di “saggezza, sapienza”. Il tutto senza dimenticare che il nome è un diritto sancito anche dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia. E che uno studio del 2007 ha provato come il nome possa influenzare le scelte e il successo di chi lo porta.
Più di due figli? 1000 euro in più di pensione
Qualunque sia il nome scelto per loro dai genitori, tutti i nati in questi anni dovranno comunque affrontare una serie di problemi, legati alla denatalità, che stanno ingenerando sempre più preoccupazioni a livello sociale. Tra questi, spicca sicuramente quello delle pensioni e del welfare. L’attuale sistema pensionistico, per reggere, ha infatti bisogno di quel ricambio generazionale che invece sta venendo sempre più meno. Così, l’ex presidente dell’Inps, Antonio Masatrapasqua, ha lanciato una proposta, apparentemente provocatoria per evitare il tracollo della previdenza sociale, non bastando più il solo passaggio al calcolo dell’importo dell’assegno di pensione su base completamente contributiva. L’idea, esposta in un editoriale pubblicato su “Il Giornale”, è quella di premiare economicamente a livello pensionistico chi mette al mondo più di due figli.
La soluzione di collegare numero di figli e pensioni, ricorda Mastrapasqua, non è completamente inedita, visto che era già presente nella riforma Dini del 1995, sotto forma di uno “sconto” per l’anticipo della pensione di vecchiaia. Proprio il calo delle nascite intercorso in questi 30 anni rende tale ipotesi attualmente inapplicabile, ma il concetto di fondo, secondo l’ex presidente Inps, potrebbe essere ripreso adesso, puntando però su un incentivo economico differito legato alla natalità ed estendendo il beneficio anche ai padri.
Alberto Minazzi



