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Il ponte di Rialto si colora di Rosso

Il ponte di Rialto si colora di Rosso

Il patron di Diesel sponsor del restauro spiega perché un imprenditore diventa “mecenate”


Il restauro del Ponte di Rialto sarà completato per fine anno, nel pieno rispetto della tabella di marcia fissata all’apertura del cantiere e con un risultato che, forte delle elevate professionalità messe in campo, sta già mostrando la qualità dell’intervento. Quella che, in teoria, non dovrebbe essere una notizia, lo diventa se si pensa alle tante difficoltà che il settore pubblico sta attraversando in questo prolungato periodo di crisi, che si traducono spesso in lavori che sembrano non vedere mai la fine, vengono rinviati nel tempo, o il cui esito è tutt’altro che impeccabile.
L’esempio del Ponte di Rialto diventa ancor di più una “buona notizia” in quanto testimonia la bontà della formula che permette di creare una sinergia forte in cui pubblico e privato marciano di comune accordo verso risultati concreti. Tutto ciò passa attraverso la generosità di imprenditori che, consapevoli di rivestire un ruolo sociale, decidono di condividere parte del loro successo con quel territorio che ha contribuito a costruirlo. Quello, insomma, che ha fatto Renzo Rosso, sponsor del restauro del Ponte di Rialto, che ci racconta, in questa intervista, come e perché, nel terzo millennio, un imprenditore decide di diventare mecenate.
Renzo Rosso, prima di tutto, perché un imprenditore privato dovrebbe fare come lei? «Ognuno è libero di fare quello che vuole, e deve agire secondo coscienza ma io credo che nessuno di noi possa più pensare solo a se stesso, siamo un’unica comunità globale oramai…».
Lei non vuole parlare di “mecenati” ma di “imprenditori illuminati”: qual è la differenza? «A me piace parlare di imprenditoria moderna. La visione è chiara: siamo tutti più globali e siamo ormai tutti consapevoli del fatto che abbiamo un ruolo sociale e che oltre a ricevere dobbiamo dare. Un giorno parlando con il Premio Nobel per la Pace Shimon Peres ci siamo detti che ormai oggi le aziende multinazionali sono addirittura più influenti dei Governi, perché a differenza di questi non conoscono confini e possono prendere iniziative molto più direttamente e velocemente. L’imprenditoria moderna ha una grande responsabilità».
Ha detto che determinante per la sua scelta è stata una frase che le ha detto il Dalai Lama: perché è stata tanto importante per lei? «Era un periodo in cui avevo deciso che volevo lavorare un po’ di meno e dedicarmi maggiormente al sociale. Lui mi disse che il dono che avevo ricevuto era quello di creare business e posti di lavoro, quella era la mia missione e non potevo smettere di farlo, ma che invece avrei potuto creare una fondazione e “organizzare” il mio impegno sociale in maniera più strutturata, che è quello che ho fatto. Un’altra cosa che mi disse fu di non aver paura di mostrare il mio nome o quello delle mie aziende che sono dietro a certi progetti perché cosi facendo avremmo rappresentato un esempio positivo e ispirato altri a fare lo stesso».
Che ritorno può avere, un’impresa, nello svolgere attività di “mecenatismo 2.0”? Solo di immagine o ci può essere qualcosa di più? «Se alcune azioni si fanno come mi ha indicato Sua Santità il Dalai Lama, cioè usando il nome dei propri marchi, si guadagna anche il rispetto dei consumatori che sono sempre più attenti all’impegno sociale dei marchi che scelgono. Certo, il ritorno non è mai direttamente proporzionale all’investimento necessario, ma non è questo l’obiettivo per cui lo si fa».

Cosa pensa dei tanti suoi “colleghi” che, con operazioni più o meno grandi, stanno sempre più intraprendendo, a Venezia, la stessa strada che lei ha seguito per il Ponte di Rialto? «Fa piacere che ci siano sempre più imprenditori con questo spirito, non solo su Venezia ma su Roma, Firenze, Milano, come i vari Della Valle, Fendi, e tanti altri».
Secondo lei, verso dove sta andando, l’Italia, in materia di conservazione dei beni artistici e culturali? «Abbiamo un patrimonio artistico di inestimabile valore, l’Italia potrebbe vivere quasi solo di questo se volesse. E invece non ci sono i mezzi per conservare e valorizzare tutto quello che abbiamo…».
L’Italia, e la sua economia in generale, possono ripartire proprio dalla valorizzazione di questo patrimonio artistico-culturale e, in contemporanea, delle altissime professionalità che si sono sviluppate in questo ambito? In che modo questo comparto può fungere da “volàno” per l’intero sistema? «Pensiamo che siamo solo il quinto Paese al Mondo per afflusso turistico, dietro a Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina. Solo per la quantità di beni che abbiamo meriteremmo di essere in una posizione più alta. Quando arrivano i turisti si mette in moto tutta l’economia: i trasporti, i servizi, l’ospitalità, la ristorazione, i negozi… ne beneficiamo tutti».
Quello che è riuscito a fare a Venezia può rappresentare il rapporto ideale tra istituzioni e privati imprenditori per portare frutti al territorio? Se sì, perché? E lo vede replicabile? «Il rapporto ha funzionato in quanto trasparente. Noi abbiamo dato il nostro contributo, partecipando all’avanzamento dei lavori e al controllo dei costi, e il risultato è stato fantastico: non solo i lavori sono finiti in tempo ma addirittura abbiamo risparmiato dei soldi. È un modello replicabile se ci sono la volontà dell’imprenditore a seguire il progetto da vicino e la volontà da parte dell’Amministrazione pubblica a rendersi trasparente».

Lei è di Molvena, nel Vicentino, ma si sente legatissimo a Venezia: il Veneto va visto sempre più come una unica grande realtà metropolitana? E quanto conta il legame con il territorio, in un’operazione come quella che lei ha fatto? «In realtà sono di Brugine, in provincia di Padova, e la più grande città vicina al mio paese era proprio Venezia. Poi ci iniziai l’università e restò per sempre la città in cui portare amici ed ospiti internazionali per far capire loro la bellezza del nostro territorio. Venezia ha sempre avuto un posto importante nel mio cuore. Aziendalmente dobbiamo molto a questo territorio, che ci ha permesso di lavorare e crescere, e mi piace pensare che lo aiutiamo come possiamo. Ma il pensiero è sempre al mondo globale, è solo così che si affronta l’economia e il business del giorno d’oggi e del futuro».
Che soddisfazione ha provato, vedendo la prima metà del Ponte di Rialto restituita a nuovo splendore? Riesce a raccontarci quel momento, in cui si è affacciato dal balcone di Ca’ Farsetti? «L’avevo visto l’ultima volta prima che lo “impacchettassero” e me lo ricordavo scuro e un po’ triste. Il giorno che l’ho rivisto per la prima volta dal terrazzo di Ca’ Farsetti ho avuto la pelle d’oca per lo splendore, la lucentezza. Era come se si fosse fatto un make-up pazzesco!»
Renzo Rosso “mecenate” (o, meglio “imprenditore illuminato”) lo rivedremo anche in futuro? Ha già qualche altro progetto in cantiere, in tal senso? E, se sì, sempre a Venezia? «Come gruppo e come fondazione, lavoriamo molto sulla responsabilità sociale d’impresa. La mia visione è quella di essere sempre di più vicino ai territori, alle strutture e alle persone che lavorano attorno a noi, e non solo su questo territorio».
 
 
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