La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che impediva l’applicazione del beneficio a chi percepisce un assegno ordinario calcolato con il sistema contributivo puro
Arriva una svolta per le pensioni di invalidità calcolate con il sistema contributivo. Le persone che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 e che quindi rientrano pienamente nel sistema, in caso di invalidità possono ora avere l’integrazione al minimo dell’assegno, finora concessa solo a chi aveva una pensione liquidata con il sistema retributivo o misto. A deciderlo è una sentenza della Corte Costituzionale che ha considerato illegittimo fino a questo momento il divieto all’integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità che spetta al lavoratore che per infermità o difetto fisico o mentale vede diminuita a meno di un terzo la sua capacità di prestare un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini.
603 euro per tutti i pensionati invalidi
Secondo i giudici costituzionali, l’esclusione dell’integrazione al minimo per l’assegno ordinario di invalidità di coloro che si sono iscritti al sistema pensionistico dopo il 1995, ovvero con il sistema contributivo, costituisce una violazione all’articolo 3 della Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza e pari dignità sociale stabilendo che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali. Anche queste persone, ha stabilito la Corte Costituzionale devono ricevere un assegno che abbia un importo minimo pari a quello dell’assegno sociale, da integrarsi attraverso la fiscalità generale. Così se sulla base dei contributi versati non raggiungerà i 603 euro al mese del trattamento minimo sarà integrato fino al raggiungimento di questa cifra.
Adeguamento al minimo ma non retroattivo
Grazie alla sentenza, l’adeguamento al minimo sarà garantito anche a chi rientra nel sistema contributivo puro, cioè coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1 gennaio 1996 che finora potevano ritrovarsi con importi inferiori al minimo vitale. La sentenza non ha però effetto retroattivo. I giudici hanno infatti stabilito che le nuove disposizioni si applicano solo dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della decisione, il 10 luglio, in modo che venga evitato un impatto finanziario immediato legato al pagamento di arretrati. Il provvedimento riguarda esclusivamente gli assegni diretti escludendo la reversibilità. La Corte nell’emettere la sentenza ha anche fatto richiamo alla ratio dell’assegno ordinario di invalidità che per i giudici risiede nella sua funzione di “sopperire a situazioni in cui il lavoratore ha perso, per via dell’invalidità, una rilevante percentuale della sua capacità lavorativa e di conseguenza la possibilità di accumulare un montante contributivo adeguato”.
Un sostegno economico erogato dall’Inps
Inoltre, il lavoratore potrebbe aver bisogno dell’assegno ordinario di invalidità anche molto prima del raggiungimento dell’età prevista per il godimento dell’assegno sociale, che viene attualmente erogato a chi ha oltre 67 anni. L’assegno ordinario di invalidità è stato introdotto nel 1984 ed è riconosciuto alle persone con una capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo a causa di patologie fisiche o mentali. Al raggiungimento dell’età pensionabile, automaticamente si trasforma in pensione. Per richiedere l’assegno, è necessario aver versato almeno 5 anni di contributi e presentare domanda all’Inps, allegando la certificazione medica. Resta ferma, come precisato dalla Corte, la possibilità per il Parlamento di rivedere l’intera disciplina, a patto che vengano rispettati i diritti costituzionalmente garantiti.