L’analisi Tagliacarne-Unioncamere evidenzia significative differenze nelle spese delle famiglie. Che al Sud crescono più del resto del Paese
Se i milanesi sono i più spendaccioni d’Italia, i romani sono i più mangioni.
Con un pizzico di ironia, le abitudini di spesa dei residenti nelle due nostre principali metropoli (che da sole incentrano il 16,5% del totale dei consumi familiari del Paese) riassumono bene i trend generali evidenziati dalla nuova analisi appena pubblicata dal Centro Studi Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere, basata sui dati provinciali del 2023. Perché se il Nord-Ovest accentra poco meno di un terzo dei consumi della popolazione nazionale, spostandosi verso Sud cresce notevolmente il peso degli alimenti sul totale del carrello della spesa.
E in Meridione, dove si è comunque registrato il maggior incremento dei consumi complessivi tra il 2019 e il 2023 (+15,7% contro il +13,7% della media nazionale), avviene circa un terzo (33,2%) della spesa totale degli italiani per i cibi, con un peso del 23,4% sul totale del carrello rispetto alla media italiana del 18,6%.
Più disponibilità economica, più spesa fuori dalla tavola
La prima chiave di lettura di queste tendenze è abbastanza scontata.
“Questi dati – sottolinea Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne – possono rappresentare un indicatore di doppia vulnerabilità per l’economia del Mezzogiorno, dove il reddito disponibile delle famiglie è inferiore di circa il 25% rispetto a quello della media nazionale e il peso dei consumi alimentari appare più consistente”.
In altri termini, se si hanno poche disponibilità, è ovvio pensare soprattutto a garantirsi il cibo per sopravvivere, lasciando poco spazio ad altri acquisti.
Si spiega così anche la grande differenza tra Milano, prima per consumi pro-capite con 30.993 euro (seguita da Bolzano a 29.146 euro e Monza-Brianza con 26.714), e Foggia, fanalino di coda a 13.697 euro (preceduta di poco da Caserta, 13.890 euro e Agrigento, con 14.020 euro a testa).
La distribuzione della ricchezza sul territorio indicata dal dato milanese è confermata dal dato lombardo (la Lombardia spende ben il 20,1% del totale italiano, con una media di 24.284 euro: ultima è la Calabria a 15.436) e da quello del Nord-Ovest in generale, che incentra poco meno dei consumi nazionali.
Quanto al dato pro-capite, però, svettano i residenti in Trentino-Alto Adige, con 26.186 euro per abitante.
Cosa ci dice la spesa alimentare
La provincia in cui si incentra la maggior quota di spesa per l’acquisto di beni alimentari è invece Roma. Ma, al riguardo, il dato più significativo sottolineato dal direttore del Centro Tagliacarne è il fatto che in ben 26 province del Sud su 38 l’incidenza dei consumi alimentari supera il 21% di quelli totali (a livello regionale il massimo si tocca in Campania con il 26,4%), mentre questa situazione non si verifica in nessuna delle province del resto dell’Italia.
“La maggiore presenza della componente di consumi di beni alimentari, che sono stati più penalizzati dalle spinte inflazionistiche e che si caratterizzano anche per una maggiore frequenza di acquisto – prosegue l’analisi di Esposito – da un lato ha gonfiato i consumi in termini nominali e dall’altro ha eroso maggiormente il potere d’acquisto reale complessivo delle famiglie meridionali”. È questa, dunque, una delle ragioni che hanno determinato l’aumento percentuale più elevato della spesa delle famiglie residenti nelle regioni di Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia, a partire dal +17,2% siciliano (trascinato dal +21% di Enna) nel confronto tra il 2019 e il 2023.
L’elevato peso della spesa alimentare, in ogni caso, interessa anche 16 province dell’Italia centro-settentrionale, sia pure in misura inferiore, con un’incidenza dei consumi alimentari tra il 18,5% e il 21% del totale.
Alberto Minazzi