Molti studenti delle scuole primarie italiane stanno scoprendo come la biomimesi può ispirare soluzioni innovative per un futuro sostenibile. Un nuovo modo di guardare il mondo
113.000 bambini italiani stanno concludendo un viaggio scolastico fuori dal comune.
Non per progetti che si inseriscono nelle materie tradizionali ma per l’approccio a una disciplina scientifica del tutto nuova nella scuola italiana: la biomimesi, ovvero l’arte di “imitare la vita”.
Il programma in cui sono coinvolti si chiama “Mi Curo di Te”, è promosso da WWF Italia e Regina (Gruppo Sofidel), e ha interessato quest’anno più di 1.100 scuole primarie in tutto il Paese con l’obiettivo di insegnare ai più piccoli che la natura non è solo qualcosa da proteggere, ma un grande laboratorio di soluzioni intelligenti.
Dai bambini, quindi, potrà arrivare uno sguardo nuovo sul mondo, perché piante e animali, i modelli della natura, possono essere applicati ai “problemi” umani; dalla medicina all’architettura, dalla tecnologia ai materiali.
Detta così, potrebbe sembrare che la biomimesi sia una sorta di nuova moda esotica o un esercizio di stile new age.
In realtà esistono diversi esempi della sua concreta applicazione al mondo.
E potrebbe sorprendere sapere che la La Tour Eiffel ne sia uno dei più eclatanti.

Passo dopo passo verso un nuovo futuro
Nei moduli didattici offerti dal progetto “Mi curo di te”, i bambini sono stati accompagnati nell’applicare i concetti della biomimesi nelle loro abitudini: riciclare, anziché gettare, coltivare piante che contribuiscano alla produzione di ossigeno, coprirsi meglio durante i mesi invernali.
Non fanno solo teoria: osservano, sperimentano, imitano creature che risolvono problemi da milioni di anni.
Scoprono come il lombrico trasforma il suolo, come la coccinella si difende, come la natura ricicla ogni cosa senza produrre rifiuti.
E lo fanno con leggerezza, ma anche con lucidità. Le 15 scuole vincitrici dell’edizione 2023/24 – da Catania a Varese – hanno presentato progetti che mettono in pratica concetti complessi con la naturalezza che solo i più giovani possono avere.
Da dove nasce la biomimesi
Se per i bambini si tratta di “imitare” la vita e il comportamento degli animali, nel profondo l’idea della biomimesi ha radici tanto recenti quanto particolarmente tecniche.
È infatti grazie alla specializzazione tecnologica che, tra gli addetti ai lavori in ambito di design e innovazione, si può parlare di applicazione biomimetica.
L’idea però rimane la stessa: ispirarsi, imitare ciò che ci circonda di naturale, per scovare nuove pratiche e nuovi modi – nonché nuovi materiali – per stare al mondo, in simbiosi con il pianeta stesso.
I nuovi materiali ispirati alla natura
Potreste essere per esempio sorpresi nello scoprire che, in Giappone, una ditta ha creato lo shellstic, un materiale plastico mescolato ai gusci di conchiglie, con i quali creare elmetti la cui forma ricorda appunto le valve dei molluschi.
Non per estetica ma perché la loro forma garantisce il 30% in più di resistenza rispetto a un normale casco.
O sapere che è stata creata una nuova pelle sintetica, chiamata sharklet, che, se utilizzata negli ospedali, può impedire fino al 97% la proliferazione dei batteri.La scoperta arriva dallo studio della pelle degli squali, che rigetta naturalmente batteri dannosi per l’essere umano.
La natura insegna. E nasce da questo presupposto anche il nuovo nastro adesivo senza colla che resiste più di ogni altro nastro adesivo tradizionale ma che al contempo risulta facilmente rimovibile a seconda da come lo si tiri. Com’è possibile?
Lo è perché funziona esattamente come le zampe del geco. Il segreto, in questo caso, si chiama fisica applicata.

La Tour Eiffel? E’ una gamba
Ma la biomimesi, per quanto ancora poco conosciuta, non è nata ieri.
L’intuizione (del biologo svizzero Otto Schmidt) arriva già dagli anni Cinquanta del Novecento e la sua definizione (che si deve alla biologa e consulente all’innovazione tecnologica Janine M. Benyus) risale al 1997.
Negli ultimi decenni, con lo sviluppo delle nanotecnologie, la biomimesi ha fatto un salto: non si imita solo la forma, ma anche il comportamento microscopico della materia.
La sua applicazione alle strutture architettoniche ci fa retrocedere però ad almeno un secolo prima quando Gustave Eiffel, disegnando la sua iconica opera d’arte in ferro, la Torre che porta il suo nome, si ispirò a un disegno anatomico di una gamba umana del paleontologo Hermann von Meyer.
La struttura ossea dell’arto – leggera e fortissima – è diventata la base del progetto della torre, realizzata su una logica di efficienza naturale.
Era il 1887 e due anni dopo la Torre ispirata a una gamba venne inaugurata.
C’è però ancora un esempio precedente di applicazione della biomimesi all’architettura.
Si tratta del Crystal Palace di Londra, realizzato nel 1851 per la Grande Esposizione Universale, pensato dal botanico sir Joseph Paxton, che per realizzare il gigantesco padiglione in vetro, copiò le costole in cellulosa del giacinto sudamericano, in grado di sopportare fino a 130 kg di peso.

Dal passato al futuro. Passando per il presente
Oggi la biomimesi ha trovato campo anche in tema di risparmio energetico.
La strelitzia reginae (il fiore “uccello del paradiso”) ha ispirato infatti sistemi di schermatura solare dinamica: le sue “ali” si muovono col vento e col sole, proprio come potrebbe fare una parete ventilata “intelligente”.
La biomimesi (e le sue applicazioni) è insomma un nuovo universo che si espande sotto gli occhi degli esseri umani.
E’ un cambio di paradigma che ci fa guardare la natura come un catalogo di soluzioni già testate e che mostra come per affrontare le grandi sfide come il cambiamento climatico o la scarsità di risorse forse non occorre inventare da zero.
I bambini che oggi imparano tutto questo lo stanno capendo meglio di noi.
Loro crescono con l’idea che un edificio può respirare come una pianta. Che un adesivo può staccarsi come una zampa di geco. Che un robot può muoversi come un lombrico. Stanno recuperando il senso delle cose semplici.
Dal 2014, e in questi undici anni, il progetto Mi curo di te ha coinvolto quasi un milione di studenti e studentesse.
Nella condivisione delle loro esperienze, le scuole primarie hanno provato a sfidare e a dare soluzioni alternative, facili e proiettate al futuro per il nostro tempo, mediante ciò che è sotto gli occhi di tutti: la natura.
Perché a volte non serve fare, basta saper guardare, e lasciarsi ispirare, imitando la vita.
Damiano Martin