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«Fai schifo, cicciona»: la Cassazione condanna il padre. Il body shaming in famiglia è reato

«Fai schifo, cicciona»: la Cassazione condanna il padre. Il body shaming in famiglia è reato

La Suprema Corte sancisce che la denigrazione abituale in ambito domestico, anche solo verbale, integra il reato di maltrattamenti

«Cicciona, fai schifo».
Non era un commento buttato lì, né uno scatto d’ira isolato. Era un ritornello.
Una colonna sonora amara che per sette mesi ha accompagnato la quotidianità di una bambina di 11 anni.
Ogni giorno, tra le mura di casa, dove dovrebbe abitare la cura, si ripetevano insulti, offese, giudizi crudeli sul corpo e sull’anima. E a pronunciarli non era un bullo qualsiasi, ma suo padre.
Oggi, a distanza di anni, la Cassazione, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, ha messo un punto fermo: quel comportamento è un reato.
Il body shaming reiterato, se praticato in famiglia, soprattutto da un genitore verso un figlio, è maltrattamento. E va punito.

Quando scatta il reato di maltrattamenti in famiglia

Parole come “ciccione”, “brutto”, “nano” o “secco” non sono solo offese da poco.
Se ripetute giorno dopo giorno, soprattutto da un genitore a un figlio che sta ancora costruendo la propria identità, lasciano segni profondi.
La legge ora lo riconosce chiaramente: questi comportamenti, quando diventano abituali e umilianti, rientrano a pieno titolo tra i maltrattamenti in famiglia previsti dall’articolo 572 del Codice Penale.

maltrattamenti

Ciò che rileva la Corte nella sentenza è che la reiterazione dei comportamenti vessatori e la loro capacità di produrre sofferenze fisiche e morali in modo abituale erano per la bambina una costante con la quale doveva fare i conti. Si è trattato di un vero e proprio strumento di svalutazione sistematica della persona. Il fatto poi che provenisse da un punto di riferimento affettivo e di protezione per definizione quale è un genitore ha ampliato l’intensità della sofferenza della giovane, al centro della propria evoluzione formativa.

La sentenza che educa

Le condotte altamente offensive del padre nei confronti della minore si erano ripetute fino all’episodio del 28 luglio 2020, data in cui, sempre per ragioni legate alla “igiene alimentare” il padre aggredì la figlia anche fisicamente con percosse. A confermare l’atteggiamento denigratorio dell’uomo vi sono state le testimonianze della madre, della sorella dell’imputato e una relazione dei servizi sociali. Non è l’unico caso del genere.
Sempre in Veneto, in tempi più recenti, lo scorso marzo 2024 il Tribunale di Verona ha condannato un padre di origine tunisina a 4 anni e 4 mesi di reclusione per il medesimo reato: maltrattamenti al figlio di 8 anni al quale si rivolgeva chiamandolo “ciccione” e che costringeva a digiunare per il ramadan, pratica che il Corano prevede inizi a 12-15 anni.

Semenzato: “il body shaming è un fenomeno che produce danni lungolatenti”

“La Corte di Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato – sottolinea l’onorevole di Coraggio Italia Martina Semenzato, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere – . Le umiliazioni , denigrazioni, offese, anche sull’aspetto fisico, di un familiare integra il delitto di maltrattamenti in famiglia, trattandosi di una violenza psicologica . Il caso affrontato dai giudici di legittimità è ancora più grave in quanto le mortificazioni sono avvenute ai danni di una bambina si soli 11 anni , ad opera di un uomo, il padre, che ha il dovere giuridico, e ancora prima morale, di proteggere. Il body shaming -conclude Semenzato – è un fenomeno spesso sottovalutato e poco conosciuto in grado di produrre nella vittima , soprattutto se di giovane età, danni lungolatenti. Da qui l’importanza della legge istitutiva della giornata contro il body shaming, di cui sono promotrice, che è già stata approvata all’unanimità alla Camera dei Deputati”.

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