Fumata bianca nel vertice scozzese tra Trump e von der Leyen: resi noti i primi contenuti dell’intesa, anche se restano alcuni punti ancora da chiarire. Le reazioni in Italia e il possibile impatto economico della nuova aliquota
Si partiva dal 30% e l’intesa si è chiusa sulla base di un dimezzamento al 15%, il punto di incontro concordato nei giorni scorsi dagli “sherpa”, lo stesso punto raggiunto qualche giorno fa tra la Casa Bianca e il Giappone. Quella di ieri poteva essere una giornata decisiva sul fronte dei dazi sui prodotti importati negli Stati Uniti dall’Unione Europea, annunciati al via dal 1° agosto dal Governo di Donald Trump, e così è stato. Ed è bastata meno di un’ora, nel vertice scozzese tra il presidente degli Usa e quello della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per raggiungere l’atteso accordo. Che, in ogni caso, va letto come un punto di partenza, visto che ci sono ancora aspetti da chiarire (come quello relativo a vino, alcol e superalcolici, su cui non è stata al momento presa alcuna decisione), altri (vedi medicinali) sui quali le dichiarazioni delle parti sono contrastanti e altri ancora (acciaio e alluminio, per i quali la tariffa applicata resta per ora al 50%) relativamente ai quali l’Europa si augura di poter riaprire la trattativa, provando a puntare su una politica comune all’interno di “un sistema di contingenti tariffari”.
I punti-cardine dell’accordo sui dazi
“Una buona intesa che ci avvicinerà”, l’ha definita Trump. “Ridarà stabilità”, ha aggiunto Von der Leyen, sottolineando anche: “Non dimentichiamo da dove siamo partiti”. Per ogni valutazione più approfondita, in ogni caso, bisognerà attendere la pubblicazione del testo ufficiale dell’accordo. Anche perché, in sostanza, si tratta solo di un quadro normativo i cui dettagli andranno chiariti nelle prossime settimane, con la possibilità di un’ulteriore riduzione delle aliquote applicate ad alcuni prodotti. Il 15% è infatti solo il limite massimo fissato. Tra i punti già annunciati, spicca quello anticipato dal presidente statunitense, che ha spiegato come l’Unione Europea effettuerà 600 miliardi di investimenti negli Usa e acquisterà un’enorme quantità di equipaggiamento militare e, soprattutto, 750 miliardi di energia. Al riguardo, von der Leyen ha chiarito che la somma sarà divisa in 3 anni e servirà nell’ottica della diversificazione delle fonti di approvvigionamento, sostituendo via via i flussi di prodotti russi e contribuendo così a garantire la sicurezza energetica dell’Europa. A dazi del 15% saranno sottoposti anche i superconduttori e il settore dell’auto, che scende così dall’attuale 27,5%. Altro punto importante: Ue e Usa hanno concordato “dazi zero” per una serie di beni e prodotti strategici, tra cui tutti gli aeromobili e relativi componenti, alcuni prodotti chimici, alcuni farmaci generici, apparecchiature a semiconduttori, alcuni prodotti agricoli, risorse naturali e materie prime essenziali.
Le reazioni in Italia
“Il Governo italiano – hanno commentato in una nota il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e i vicepresidenti Antonio Tajani e Matteo Salvini – accoglie positivamente la notizia del raggiungimento di un accordo tra Unione Europea e Stati Uniti sui dazi e le politiche commerciali, che scongiura il rischio di una guerra commerciale in seno all’Occidente, che avrebbe avuto conseguenze imprevedibili”. “L’accordo – proseguono i rappresentanti dell’Esecutivo – garantisce stabilità, aspetto fondamentale per i rapporti tra due sistemi economici e imprenditoriali fortemente interconnessi tra loro, come sono quelli dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Nelle more di valutare i dettagli dell’intesa, giudichiamo sostenibile la base dell’accordo sui dazi al 15%, soprattutto se questa percentuale ricomprende e non si somma ai dazi precedenti, come invece era previsto inizialmente”. Pur chiedendo “che vengano attivate anche a livello europeo”, il Governo si è detto infine pronto “ad attivare misure di sostegno a livello nazionale per quei settori che dovessero risentire particolarmente delle misure tariffarie statunitensi”. Risposta, questa, anche alle preoccupazioni espresse dal mondo produttivo a commento dell’accordo. Il presidente di Cna, Dario Costantini, definendo l’intesa “non soddisfacente”, ha per esempio dichiarato: “Si scrive 15, ma si legge 30%: un livello di dazi al 15% provocherà effetti comunque molto pesanti sull’export italiano, che vanno a sommarsi all’apprezzamento negli ultimi mesi dell’euro sul dollaro di quasi il 15%”.
Il peso dei dazi
Ricordando che l’Italia è uno dei principali esportatori negli Stati Uniti, con di conseguenza effetti molto negativi, in particolare sul sistema delle piccole imprese, legati a qualsiasi innalzamento dei dazi, Cna evidenzia che ai 67 miliardi di euro di vendite dirette occorre sommare circa 40 miliardi di flussi indiretti. Preoccupato, in attesa di novità, anche il mondo del vino, settore che, con un fatturato di 1,9 miliardi, è il primo per export nei complessivi 7,8 miliardi di prodotti agroalimentari in uscita dal nostro Paese verso gli Usa. Con un dazio al 15%, secondo il presidente dell’Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi, rischia di essere penalizzato almeno l’’80% del vino italiano, con danni alle imprese per circa 317 milioni di euro. Nei giorni scorsi, intanto, Confindustria aveva calcolato in 22,6 miliardi la perdita complessiva di esportazioni verso gli Usa per le imprese italiane con un’aliquota a questi livelli. Del resto, secondo uno studio del think tank Bruegel, l’Italia, dopo l’Irlanda (al 13%) è il secondo Paese Ue più esposto ai dazi americani, con un’esportazione all’11%. E, una decina di giorni fa, l’agenzia di informazioni commerciali Cerved aveva ipotizzato che, da dazi al 15%, potrebbe derivare nel 2025 per le imprese italiane una perdita complessiva di fatturato superiore agli 8 miliardi.
Alberto Minazzi