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Città metropolitane, il motore della forestazione nazionale

Città metropolitane, il motore della forestazione nazionale

Lo sottolinea il quinto “Atlante delle foreste” di Legambiente: oltre 3 milioni di alberi messi a dimora nel 2024, con ricadute economiche per 20 milioni di euro l’anno

Se l’Italia continua a investire nel verde (e, anzi, accelera sempre più in tal senso) il merito va riconosciuto soprattutto alle Città metropolitane. Nell’ultimo anno, a fronte di un andamento ondivago tra le diverse Regioni e il cambio di strategia che si è tradotto in una frenata del settore privato, sono stati infatti questi enti pubblici intermedi a spiccare per gli interventi di forestazione e rimboschimento, trascinando il +31% su base annua di alberi messi a dimora. Un contingente che ha superato, nel 2024, oltre 3 milioni di piante, per quasi 4 mila ettari di superficie, come sottolinea la quinta edizione dell’“Atlante delle foreste”, l’indagine condotta da Legambiente e AzzeroCO2 con il supporto tecnico di Compagnia delle foreste di cui sono stati appena pubblicati i risultati.

Forestazione: il ruolo chiave delle Città metropolitana

Lo studio ha analizzato circa 294 progetti distribuiti in aree urbane ed extraurbane, comprendendo gli interventi realizzati entro marzo 2025, termine ultimo per la messa a dimora delle piante nella stagione vegetativa idonea, che parte a ottobre. In tal senso, le Città metropolitane hanno potuto sfruttare l’impulso decisivo derivante dai fondi previsti per questo obiettivo in Decreto Clima e Pnrr. E, a guidare la classifica, sono le realtà del Centro-Sud: guida Messina con 357.612 alberi, davanti a Roma (265.501 piante messe a dimora), Reggio Calabria, Cagliari e Napoli. Al riguardo, va però ricordato che i progetti sono stati ammessi al finanziamento europeo nel 2022 e per il 75% sono già stati completati.

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Vi sono dunque realtà che figurano a “zero alberi” nel 2024 perché hanno già raggiunto gli obiettivi negli anni precedenti. Tra queste Venezia, che ci è arrivata già nel 2022, Bari e Torino (nel 2023). E poi altre città, tra cui Bologna, Firenze e Milano, che non avevano richiesto o ricevuto soldi pubblici dal primo bando Pnrr, mentre per Catania e Palermo il rapporto presume che i progetti siano ancora nella fase di coltivazione delle piante in vivaio.

Le regioni che hanno piantato più alberi

Ragioni amministrative, ovvero il passaggio tra i vecchi e i nuovi piani di finanziamento, vengono quindi indicate per il rallentamento fatto registrare dalle Regioni. Sul podio si posizionano così il Trentino-Alto Adige (più di 748 mila nuove piante), la Basilicata (oltre 539 mila) e il Veneto, in decisa ascesa grazie all’avvio (così come è avvenuto in Friuli-Venezia Giulia) degli interventi legati al nuovo Complemento regionale per lo sviluppo rurale. Subito dopo, si posizionano Sicilia, Lazio e Calabria.
Ragioni congiunturali legate al passaggio ai nuovi piani strategici giustificano invece lo stallo nell’avvio di nuovi impianti di alberi attraverso finanziamenti gestiti direttamente dalle Regioni in Abruzzo, Calabria, Campania, Molise, Sardegna, Sicilia, Toscana e Umbria, mentre è frutto di una precisa scelta, legata alla già elevata copertura boschiva del territorio, la decisione della Liguria di non finanziare nuovi impianti.

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Il ritorno economico e la sopravvivenza degli alberi

Le nuove “infrastrutture verdi” generano i cosiddetti servizi ecosistemici, di cui l’Atlante ha quantificato la ricaduta economica in 20 milioni di euro per ognuno degli anni di vita delle piante.
Tra questi servizi rientrano per esempio la mitigazione degli effetti climatici estremi e la regolazione della qualità dell’aria e del suolo (stimata in oltre 2.200 euro/anno per ettaro), l’impatto positivo su turismo e attività ricreative (639,2 euro l’anno) e il “valore di lascito” (2.342,5 euro per ettaro), cioè la garanzia di consegnare alle generazioni future ecosistemi sani e ricchi di biodiversità. Per poter realizzare appieno questo potenziale economico, si sottolinea, gli alberi devono però essere in grado di sopravvivere e prosperare a fronte dei sempre più rilevanti cambiamenti climatici, che si traducono in un aumento della siccità e delle ondate di calore. Al riguardo, i suggerimenti tecnici per ridurre i rischi di mortalità delle giovani piante vanno da una pianificazione attenta, che prenda in considerazione anche l’analisi del suolo e del clima, la preparazione del sito e un piano di manutenzione post impianto.

Gli investimenti dei privati

Un ultimo aspetto evidenziato dallo studio è il calo del -72% degli alberi (esattamente 40.852) messi a dimora nel 2024 sfruttando i contributi volontari del settore privato. Veneto, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna sono le tre regioni sul podio per alberi finanziati da privati.
In generale, però, c’è un cambio di prospettiva che tende a includere sempre più azioni di tutela e ripristino degli ecosistemi.
“La domanda che ci viene posta oggi dalle imprese – spiega Sandro Scollato, ad di AzzeroCO2 – non è più soltanto “quanti alberi piantiamo?” ma “come possiamo creare valore per il territorio?”. “Ogni singolo albero in più – conclude il direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti – contribuisce a mitigare il cambiamento climatico, migliora la qualità dell’aria, tutela il suolo e rende le città più belle e vivibili”. Un “intervento strategico per un futuro più sostenibile” che passa anche attraverso la campagna “Festa dell’Albero”, in programma dal 21 al 23 novembre con decine di iniziative in tutta Italia che puntano a “creare nuovi polmoni verdi nelle città”.

Alberto Minazzi

 

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