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Cannabis e infarto, un legame pericoloso anche nei giovani

Cannabis e infarto, un legame pericoloso anche nei giovani

Una ricerca statunitense segnala un aumento significativo del rischio cardiovascolare tra gli under 50 che fanno uso di cannabis, anche in assenza di altri fattori di rischio

Il tema del consumo delle droghe leggere è da sempre al centro dei più accesi dibattiti tra chi dice no a qualunque tipo di sostanza stupefacente e chi, al contrario, ne auspica una liberalizzazione sottolineando i limitati rischi per chi si fuma uno spinello.
In realtà, dice ora uno studio statunitense, questi effetti ci sono.
E non riguardano solo la salute mentale, ma anche quella dell’apparato cardiovascolare di soggetti altrimenti sani.
La probabilità di infarto tra gli under 50 utilizzatori della cannabis, infatti, aumenterebbe esponenzialmente rispetto ai non consumatori.

La cannabis e la salute del cuore

I risultati della ricerca, intitolata “Infarto miocardico e rischi cardiovascolari associati all’uso di cannabis: uno studio retrospettivo multicentrico”, sono stati recentemente pubblicati su “Jacc Advances”. Pur ricordandone i benefici terapeutici, gli studiosi hanno evidenziato come “il consumo di cannabis è stato collegato a esiti cardiovascolari avversi, in particolare l’infarto del miocardio”, facendo notare che “la ricerca mostra costantemente una significativa associazione tra il consumo di cannabis e gli eventi coronarici acuti, in particolare tra i consumatori più giovani”.

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Per evitare i limiti alla comprensione degli effetti cardiovascolari a lungo termine della cannabis legati a fattori confondenti come il tabacco o alla presenza di altri fattori di rischio accertati, i ricercatori hanno provato quindi a valutarli in soggetti consumatori relativamente sani, focalizzandosi su un campione di oltre 4,6 milioni di adulti di età fino a 50 anni, di cui più di 93 mila consumatori di cannabis. È emerso così un rischio assoluto di infarto miocardico dello 0,558% nei consumatori contro lo 0,09% dei non consumatori, dello 0,405% contro lo 0,094% per l’ictus ischemico, dello 0,861% contro lo 0,424% per lo scompenso cardiaco, dell’1,187% contro lo 0,366% per gli eventi cardiovascolari avversi maggiori, tra cui rivascolarizzazione coronarica e fibrillazione-tachicardia ventricolare, e dell’1,262% contro lo 0,841% per quanto riguarda la mortalità per tutte le cause.

Un nuovo fattore di rischio

“Questa analisi – apre la discussione lo studio – fornisce prove che collegano l’uso di cannabis a eventi cardiovascolari avversi. In particolare, l’uso di cannabis sembra rappresentare un rischio sostanziale e indipendente per questi esiti, anche in una popolazione priva di tradizionali fattori di rischio cardiovascolare. Questi risultati suggeriscono la cannabis come un nuovo fattore di rischio, e poco riconosciuto, per le malattie cardiovascolari”. “I risultati del nostro studio – prosegue l’analisi – sono coerenti con precedenti ricerche che documentano la sindrome coronarica acuta a seguito dell’uso di cannabis. Gli studi suggeriscono che l’uso di cannabis può precipitare l’infarto miocardico, in particolare entro un’ora dal consumo, con un rischio che aumenta di quasi 5 volte. Questo effetto è pronunciato nei soggetti giovani e sani che presentano dolore toracico”. La cannabis, inoltre, “è stata implicata nella disfunzione endoteliale, nel rilascio di citochine proinfiammatorie e nello stress ossidativo, tutti fattori che contribuiscono alla disfunzione microvascolare coronarica e alla destabilizzazione della placca”. L’invito finale lanciato dai ricercatori è dunque quello di rafforzare le iniziative di sanità pubblica e la consapevolezza da parte dei medici, mentre il consiglio per la ricerca futura è quello di “indagare la relazione dose-risposta e gli effetti dei cannabinoidi sintetici”.

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Cannabis: una droga che non tramonta

La stessa introduzione dello studio ricorda come, “il consumo di cannabis è aumentato a livello globale grazie alla crescente legalizzazione e all’accettazione sociale, con oltre 192 milioni di consumatori segnalati dalle Nazioni Unite nel 2018”. In Italia, l’analisi delle tendenze attuali e delle sfide emergenti relative alla cannabis proposta dall’ultima Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze, pubblicata nel 2024 sulla base di dati relativi al 2023, sottolinea che, “pur presentando per la prima volta dalla pandemia una flessione, i prodotti della cannabis restano quelli a maggior impatto sia per quanto riguarda la diffusione sui territori sia relativamente allo sforzo legato al contrasto”. In particolare, la cannabis e i suoi derivati continuano a essere le sostanze largamente più diffuse tra i giovanissimi: nel 2023, almeno una volta nell’anno ne hanno fatto uso 550 mila ragazzi tra i 15 e i 19 anni, pari al 22% dell’intera popolazione studentesca, e 70 mila giovanissimi (2,8%) hanno riferito di farne un uso pressoché quotidiano, ovvero fino a 20 o più volte nel mese. A preoccupare, in particolare, è l’incremento della percentuale media di principio attivo nei prodotti a base di hashish, che è quadruplicata, soprattutto nei prodotti di nuova generazione e nei liquidi per sigarette elettroniche. E “desta allarme la comparsa di prodotti a basso contenuto di THC (<1%) adulterati con cannabinoidi sintetici (esaidrocannabinolo)”. Registra infine una leggera crescita la quota delle persone assistite presso i SerD per uso di cannabis, arrivata al 12% delle persone in trattamento.

Alberto Minazzi

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Tag:  cuore, droga