Il Censis disegna nel suo nuovo rapporto il curioso spaccato di una società cambiata e ancora in evoluzione
Siamo un popolo che, meglio di quelli di altre grandi democrazie occidentali, ha saputo rimodulare “attese e desideri”, ponendosi “faccia a faccia con il presente”.
Un popolo che ha sviluppato una forte attitudine a “resistere, adattarsi, stare dentro le crisi”.
Una Nazione in cui “la cetomedizzazione dal basso non è finita”, ma anzi “per molti versi vince ancora” e “resta una base preziosa di stabilità”. Sono solo alcune delle “pennellate” del quadro dell’Italia del 2025 dipinto dal Censis nel suo ultimo rapporto, appena pubblicato. Un “Italia nell’età selvaggia, del ferro e del fuoco”, la definisce l’istituto di ricerca, all’interno di un “mondo a soqquadro” in cui il “vero motore della storia” non è l’economia, ma le “pulsioni antropologiche profonde”.
Che, per esempio, spinge gran parte di noi a rifugiarsi nel piacere, “inscritti nel nostro stile di vita” e il cui “re” è il sesso.
Il “Grand Hotel Abisso”, il piacere degli italiani e il sesso
Partiamo allora da qui, dall’approccio positivo alla vita che continua a caratterizzare la maggioranza degli italiani.
Il Censis precisa al riguardo, usando la metafora del “Grand Hotel Abisso”, che non siamo un popolo che “si allieta con piaceri sfrenati finché non sopraggiungono le tenebre”. A spingerci, insomma, non è insomma la paura di perdere tutto, ma una “connaturata vocazione edonistica”, che è ben evidente nei dati relativi ai rapporti sessuali.

Questi, secondo il rapporto, “tra le persone di 18-60 anni sono molto frequenti”, visto che il 62,5% di chi rientra in questa fascia d’età ha una vita sessuale molto intensa, contrassegnata da un ritmo settimanale. E la percentuale sale al 72,4% tra gli under 35. Scendendo ulteriormente nel dettaglio, la maggioranza, pari al 29,9% definita dalla categoria degli “attivi”, fa sesso 2 o 3 volte a settimana. E, tra le pratiche regolarmente attuate, la percentuale più elevata (78,8%) è quella di chi effettua preliminari prima del coito, seguita da un 74,2% che fa sesso orale.
L’edonismo economy nel Grande Debito della società post-welfare
Allargando la prospettiva, riguardo al nuovo ceto medio il Censis utilizza la metafora di un popolo che “non rinuncia a viaggiare e consumare, ma lo fa con un biglietto di classe Economy e, di quando in quando, si concede l’upgrade di un biglietto Premium”. È l’effetto di una serie di fattori, tra cui sicuramente un ruolo predominante è giocato dalla crescente fragilità delle economie occidentali. “Il Grande Debito inaugura il secolo delle società post-welfare”, scrive ancora il rapporto, sottolineando che il ridimensionamento dello stato sociale sarà sempre più “inevitabile”.
A contribuire a determinare lo “stato febbrile” del ceto medio, che “vive nella stagnazione o, peggio ancora, rischia di perdere lo status conquistato nel tempo”, è anche la regressione demografica, che incide a sua volta anche in campo economico, provocando “l’arresto dei processi di proliferazione delle piccole imprese”.

Ancora, gli italiani credono poco al peso dell’Unione Europea: il 62% non gli attribuisce un peso decisivo nelle partite globali e il 53% ritiene che sia destinata addirittura alla marginalità. E ancor meno si crede ai partiti, ai leader politici e al Parlamento (ha smesso di farlo il 72% degli italiani), con il solo Leone XIV a ottenere, tra i leader internazionali, la fiducia della maggioranza (60,7%).
Se per caso cadesse il mondo…
Questi risultati relativi alla considerazione riservata dagli italiani alle istituzioni vengono rafforzati dall’altro dato, secondo cui il 63% è convinto che si sia spento ogni sogno collettivo in cui riconoscersi.
“Assistiamo – riprende il Censis – a un capovolgimento dei ruoli nel rapporto tra élite e popolo”.
In altri termini, da una parte ci sono i leader europei, dall’altra ci sono gli italiani, “per i quali non è scattato l’allarme rosso: l’apocalisse può attendere”, scrive ancora il rapporto. Del resto, gli italiani attuali, oltre a sentirsi più lontani da uno dei tradizionali modelli di riferimento, ovvero quello statunitense (il 74% non si ispira più, sul piano socio-culturale, all’american way of life), ritengono nel 47% dei casi che le divisioni politiche e la violenza che scuotono il Paese d’oltre oceano “sono impensabili nella nostra società”.
Una posizione in linea con quella in merito all’ipotesi di un intervento militare italiano nel caso in cui un Paese alleato della Nato venisse attaccato, disapprovata dal 43%.
Ben il 66%, inoltre, ritiene che si debba rinunciare a rafforzare la difesa nel caso in cui, per riarmarsi, fosse necessario tagliare la spesa sociale.
Alberto Minazzi



