Tra una nuova richiesta di riaprire le indagini sulla sua morte e l’inaugurazione di “Casa Pasolini”, a Rebibbia, l’Italia riscopre l’uomo che raccontò le periferie prima che diventassero “tendenza”
La notte in cui Pier Paolo Pasolini venne ucciso all’Idroscalo di Ostia, il 2 novembre 1975, continua a pesare sul presente.
Ieri, a quasi cinquant’anni dalla sua uccisione, il caso è tornato a bussare alla porta della Procura di Roma con una nuova istanza di riapertura delle indagini, sostenuta da elementi inediti.
Coincidenza vuole che, proprio nello stesso giorno, Roma abbia restituito alla città un luogo fondamentale della vita dello scrittore: la sua casa al civico 3 di via Giovanni Tagliere, a Rebibbia.
La sua prima vera abitazione romana è stata infatti trasformata in un museo vivo, gratuito e accessibile.
Poeta, regista, scrittore, Pasolini ha raccontato periferie, desideri, rabbie e bellezza prima che il Paese capisse davvero cosa stava guardando.
Ostia 1975: un caso irrisolto
L’omicidio di Pasolini è una delle ferite ancora aperte dell’Italia.
La richiesta di riaprire il caso presentata dall’avvocato Stefano Maccioni per conto dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, del regista David Grieco e dell’editore Giovanni Giovannetti si basa su nuovi elementi, tra cui materiale video dell’epoca e una lettura unitaria dei dati raccolti negli anni: l’ipotesi, ancora una volta, è che Giuseppe “Pino” Pelosi, il suo assassino, non fosse da solo quella notte.
Pelosi, condannato come unico responsabile, nel 2005 aveva già ritrattato la sua confessione raccontando di essere stato minacciato da un “commando” intenzionato a eliminare Pasolini per motivi politici. Una pista finora mai confermata.
Rebibbia 1951: dove tutto è iniziato
Mentre la giustizia prova a illuminare una notte del 1975, Roma riapre la porta del 1951.
E’ in quell’anno che Pier Paolo Pasolini affittò a Rebibbia un appartamentino di 73 mq composto di salottino, cucina, camera e bagno.
Lo scrittore, arrivato qualche tempo prima nella capitale da Casarsa, con sua madre, insegnava allora in una scuola di Ciampino.
Scriveva la notte. Di giorno ascoltava la città.
Non la Roma da cartolina ma quella vera dei quartieri di periferia, delle case povere e senza infissi, dei bambini scalzi, quella in cui si conviveva con la polvere d’estate e il fango l’inverno.
Sono figli di quella periferia “Ragazzi di vita” e le poesie de “Le ceneri di Gramsci”.
“Abitammo in una casa senza tetto e senza intonaco, una casa di poveri, all’estrema periferia, vicino a un carcere – avrebbe poi scritto nel 1966 in Poeta delle Ceneri -. C’era un palmo di polvere d’estate, e la palude d’inverno. Ma era l’Italia. L’Italia nuda e formicolante, coi suoi ragazzi, le sue donne, i suoi odori di gelsomini e minestre povere”.
Era l’Italia che lui ha raccontato svelandola, fatta di ragazzi e di amori difficili, di rabbia, di una realtà cruda che oggi definiremmo “underground”. Ma lui lo ha fatto settant’anni fa.
Una piccola casa che diventa museo
In quella periferia che Pasolini ha trasformato in letteratura, il suo piccolo appartamento ora diventa un presidio di cultura.
L’appartamento è stato salvato grazie a un gesto di mecenatismo raro.
Il produttore Pietro Valsecchi lo ha infatti comprato all’asta nel 2022 e donato al Ministero della Cultura nel 2024, realizzando ciò che per anni Rebibbia, che già lo ricorda con una targa, aveva sperato.
Dopo un restauro curato dall’Istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali di Roma, “Casa Pasolini” è ora aperta al pubblico dal giovedì alla domenica, con prenotazione obbligatoria. Ma non è un museo tradizionale: non ci sono gli oggetti di Pasolini, ma tutto ciò che conta davvero: le atmosfere, i colori, le carte da parati anni Cinquanta, le maioliche della cucina. L’aria che respirava allora in quello che Pasolini ha definito “il centro del mondo”: Rebibbia.
La sua casa ospiterà una biblioteca tematica, letture, proiezioni, attività con il carcere di Rebibbia e borse di studio per giovani artisti.
Consuelo Terrin



