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Lorela Cubaj: “Sul campo do tutto, fuori sono semplicemente me stessa”

Lorela Cubaj: “Sul campo do tutto, fuori sono semplicemente me stessa”

Dal basket giovanile a Terni alla Reyer Venezia, passando per il college e la WNBA, Lorela Cubaj è diventata un simbolo della pallacanestro italiana

Lorela Cubaj, ternana classe 1999, rappresenta ormai un totem della pallacanestro italiana: centro della Reyer Venezia e della Nazionale azzurra, è in Laguna da “grande” dal 2022, dopo l’esperienza al college e in WNBA, la lega professionistica americana.
Una presenza fatta di energia, sorrisi, lacrime, intensità e rabbia, nel senso più agonistico del termine, in grado di conquistare tutti. Con un cuore grande cosi e la testa sulle spalle.

  • Riavvolgiamo il nastro: chi era Lorela Cubaj quando è arrivata qui?

Bella domanda… Ero ancora una ragazzina. Certo avevo già avuto le mie esperienze legate al basket qui nel settore giovanile e al college, È solo dopo essere tornata che mi sono confrontata davvero con la vita da adulta, tra professionalità e indipendenza. All’inizio è stato difficile, ma grazie alla Reyer ho scoperto la mia identità, come giocatrice e come persona
Avevo vissuto gli anni precedenti nella ‘bolla’ del college, sia dal punto di vista sportivo : ero un po’ acerba.

  • Quando eri piccola sapevi già di voler diventare una giocatrice?

Ho iniziato grazie a mio zio paterno, lui giocava a Terni e mi piaceva andare a vederlo giocare. A metà partita entravo sempre in campo a fare qualche tiro, poi un giorno il suo dirigente gli disse che avrebbero iniziato anche un progetto femminile e mi chiesero se volessi provare. Convinsi mia madre e sono riuscita a entrare in squadra da bambina, poi da quando avevo dodici o tredici anni ho iniziato ad avere l’ambizione di diventare una giocatrice. Seguivo già la Serie A, andai a vedere un’amichevole della Nazionale a Orvieto e ne rimasi affascinata. Devo dire che oggi essere io una di quelle giocatrici che le bambine vengono a vedere fa un certo effetto.

  • Un flash: l’inquadratura di tuo padre in versione tifoso agli Europei. Cosa rappresenta per te la tua famiglia?

Un legame forte, una parte fondamentale della persona e della giocatrice che sono oggi. Di certo anche loro hanno fatto un grande sacrificio a lasciarmi andare via di casa quando ero solo una ragazzina, senza la loro fiducia non avrei potuto far parte del settore giovanile della Reyer o andare al college e di questo sarò riconoscente a vita. Loro mi hanno sempre sostenuta e tuttora vengono a farlo, sono sempre contenta quando vengono a vedermi perché è come se potessero vedere i frutti del loro lavoro e dei loro sacrifici, cerco sempre di renderli orgogliosi.

  • La Cubaj giocatrice fa dell’intensità, dell’energia e della forza fisica i propri marchi di fabbrica. Come combini queste caratteristiche al tuo essere donna e femminile fuori dal campo?

Mi piace pensare di avere un alter ego: quella che si vede in campo sono sempre io, ma in una versione diversa che solamente la pallacanestro riesce a tirarmi fuori. Cerco di essere sempre me stessa, mi rendo conto che nella mia vita quotidiana sono completamente diversa rispetto a quello che si vede sul campo: quando si tratta di essere competitiva magari non dimostro un lato di me molto ‘femminile’, se vogliamo, ma credo che questo possa essere anche normale. Credo che possa essere un modo di bilanciare tutta la propria personalità, esprimendomi in un certo modo in campo e in modo diverso nella vita di tutti i giorni.

  • Guardando le tue partite si nota subito come tu sia una sorta di “capitano della difesa”: non solo sei fisica ma anche molto vocale, si vede anche una Cubaj leader. Ti rivedi in questa descrizione?

A me la difesa è sempre piaciuta, sebbene a volte sia molto sottovalutata, e mi piace anche essere così presente e vocale perché aiuto anche me stessa a metterci l’energia e la concentrazione giusta. Mi piace anche essere un punto di riferimento per le compagne, la difesa per me non è un concetto ‘passivo’ ma è un modo di attaccare, di trascinare anche emotivamente le mie compagne e a volte diventa una questione personale, di orgoglio.

  • La tua emotività a volte viene fuori anche in certi sfoghi, magari dopo un cambio. Chi ti conosce però sa bene che non è una cosa negativa ma vuol dire che sei “accesa”…

Sì, magari in quei pochi secondi mi lamento o dico qualche parolaccia, ma è solo un modo di rilasciare un pochino di energia quando sono nel pieno dell’agonismo (sorride, ndr).

Ti senti una leader anche nella tua vita privata, nel prendere decisioni e guidare la tua vita?

Decisamente sì. Se me lo avessi chiesto cinque anni fa avrei detto no, dopo queste esperienze posso dire che tutte le scelte che ho fatto sono state totalmente mie e le difendo sempre. In campo tutto è molto più enfatizzato, ma anche nella mia vita sono diventata così: mi sento in grado di incidere anche nella vita privata: non sono più la bambina di casa, sento di poter dire la mia e di poter influire anche nelle decisioni importanti della mia famiglia.

  • Il basket ti ha aiutata in questo?

Completamente. Non ho paura di prendermi una responsabilità, di fare una scelta che magari si può anche rivelarsi sbagliata ma sempre con l’idea di metterci la faccia.

  • Ma chi è Lorela Cubaj fuori dal campo?

Fuori sono molto tranquilla. Mi piacciono le piccole cose come una passeggiata o cucinare un buon pasto, anche per uscire ogni tanto dal loop legato alla mia professione, che richiede tantissimo dal punto di vista fisico e nervoso. Mi piace leggere, mi piacciono i videogame.

  • Genere?

Fantasy. Ho iniziato a leggere i libri del ‘Trono di Spade’ dopo aver visto la serie. Mi piace giocare anche se non sono brava, e anche li mi piacciono i giochi con una storia come ‘Legend of Zelda’.

  • Perché il genere fantasy?

Perché non è reale, appunto. Quando leggo o gioco cerco di evadere in un mondo fantastico, di portare me stessa in una dimensione diversa. Mi piace immergermi in mondi pieni di magia e immaginazione.

  • Un altro flash: Europei di basket, finale per il bronzo, segni l’ultimo canestro contro la Francia e scoppi a piangere. Cosa hai provato in quel momento?

Diciamo che il risultato era già acquisito, ma quel canestro è stato come il sigillo finale, ho realizzato che ce l’avevamo fatta davvero a vincere la medaglia, come se tutta la tensione di una settimana veramente intensa da ogni punti di vista stesse andando via tutta insieme. Eravamo alla fine in tutti i sensi, non ne avevamo più noi e nemmeno loro. È stata una liberazione.

  • Vivi da sportiva di alto livello ma anche tu vivi nel mondo reale e non puoi non leggere le cronache di quanto accade. Come donna ti senti mai “a rischio” nella tua vita di tutti i giorni, come tante donne che nemmeno sanno di esserlo prima di essere travolte?

Sì e no. In generale sono sempre una persona diffidente e attenta, per questo forse mi sento un po’ più sicura. Essere donna ha sempre comunque i suoi lati oscuri: sappiamo cosa succede, sappiamo come sta andando anche nel nostro paese con le violenze contro le donne e queste cose possono succedere a chiunque. Un pizzico di timore ti accompagna sempre.

  • Oggi sei contenta di ciò che sei diventata, della donna Lorela Cubaj?

Penso che se la tredicenne Lorela vedesse la ventiseienne Lorela sarebbe molto orgogliosa, perché vedrebbe una persona che ha realizzato i propri sogni. Non vuol dire che sia finita qui ovviamente, perché nella vita di un’atleta bisogna avere continuamente nuovi stimoli e bisogna continuamente alimentare la propria motivazione. Io cerco sempre di raggiungere ogni anno qualcosa di più, anche un piccolo passo avanti: avere sempre un obiettivo nuovo e avere la volontà di raggiungerlo è la benzina che ogni giorno mi spinge a migliorare.

Pietro Scibetta

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