Un nuovo rapporto dell’Ocse rilegge i dati sulla spesa oggettiva per il mantenimento della prole e l’incidenza sul bilancio familiare
Le famiglie con figli percepiscono un disagio economico molto più elevato di quello che registrano le statistiche ufficiali.
Ad arrivare alla preoccupante conclusione, che sposta le considerazioni sul declino dei sistemi familiari ben al di là delle semplici riflessioni legate alla denatalità, è l’Ocse.
Nel suo nuovo rapporto “Parenting on a Budget”, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha provato infatti a quantificare il costo di un figlio per i genitori che lo mettono al mondo anche alla luce dell’evoluzione concreta dell’istituto familiare, caratterizzato sempre più da nuclei monoparentali e forme di organizzazione ben distanti dal modello tradizionale. Nuove metriche che spingono inoltre l’Ocse ad auspicare una reale presa di coscienza da parte delle istituzioni nell’affrontare i problemi economici legati al mantenimento della prole ancor prima di addentrarsi nelle strategie per incentivare le nascite.
L’incidenza di un figlio sul bilancio familiare
Ma quanto costa, allora, un figlio?
E davvero i margini di scelta libera si sono ridotti, trasformando la genitorialità in un privilegio, se non in un lusso?
Il rapporto ha provato a dare risposte armonizzando i dati delle differenti indagini Eu-Hbs, basata sulla spesa effettiva delle famiglie, ed Eu-Silc, che invece si addentra sulle difficoltà soggettive che le famiglie con prole trovano per far quadrare i conti.
E la risposta, per l’Italia, dove il disagio economico percepito legato alla necessità di provvedere alla crescita di un figlio è tra i più elevati d’Europa, è affermativa.
In generale, il costo del primo figlio per la sua famiglia è stato quantificato dall’Ocse all’interno di una forbice tra il 20% e il 75% del consumo di un adulto.
In media, in una famiglia “classica” con due genitori, nel nostro Paese l’incidenza sul bilancio è del 27% mentre in Europa è del 23%.
Un dato che varia al variare dell’età, con livelli elevati fino ai 5 anni di età del bambino, ma anche con una ripresa dai 14 anni in poi. Ed è un carico, a quel punto, destinato a prolungarsi nel tempo fino all’uscita del ragazzo dal nucleo familiare per iniziare la vita autonoma.
Le cose peggiorano, però, nei nuclei non classici con un bambino, che si trovano a fronteggiare un carico economico percepito al 41% del reddito di un adulto ma che in Italia arriva anche al 60%.
Per i genitori soli il peso aumenta
Un altro aspetto da cui emerge questa tendenza sono le “economie di scala” per i figli successivi al primo.
Il secondogenito, nella media del rapporto Ocse, incide infatti al 20% sul bilancio di una famiglia con due genitori: cosa che non succede però nelle famiglie monoparentali, dove il vantaggio è marginale per il secondo figlio e si annulla completamente dal terzo in poi. Né cambiano di molto le cose, ammonisce l’Ocse, quando si guarda ai cosiddetti “figli non residenti”, per esempio quelli assegnati ai genitori separati in custodia condivisa o alterna, che presentano profili di spesa e disagio economico molto più critici rispetto a quelli generati in una famiglia tradizionale. Anzi, le spese fisse per questa prole spesso non vengono rilevate dai principali strumenti di indagine e quindi ignorate dalle statistiche, non permettendo, a causa di una rappresentazione incompleta del disagio familiare nei dati ufficiali, l’emersione, e la loro considerazione nella definizione dei bisogni economici, di migliaia di situazioni economiche a rischio.
Alberto Minazzi