Dimenticate Dory: la scienza riscrive ciò che sappiamo sui pesci. Nel silenzio degli abissi si custodiscono ricordi, strategie, apprendimenti. Un’intelligenza sommersa che ci riguarda più di quanto immaginiamo
Il mare pullula di menti sottili. Non è silenzioso, né semplice.
E’ un mondo animato da creature capaci di apprendere, di ricordare, di adattarsi. E di sorprenderci.
Perché le abbiamo sempre sottovalutate, e Dory, il mitico pesce del cartoon Disney, ne è un esempio.
Ci ha fatto sorridere per la sua proverbiale smemoratezza ma, a ben vedere, è un caso di rappresentazione che tradisce la realtà. Altro che pochi secondi: alcuni pesci ricordano stimoli e percorsi anche a distanza di mesi.
Altri ancora imparano osservando i propri simili, sviluppano preferenze sociali, riconoscono partner fedeli
La scienza ci dice ora che i pesci hanno anche memoria.
Per la prima volta, uno studio ha dimostrato infatti che due specie di pesci selvatici – l’orata sellata (Oblada melanura) e l’orata nera (Spondyliosoma cantharus) – sono in grado di associare stimoli visivi a ricompense, ricordare percorsi, distinguere colori e riconoscere gli umani.
Una scoperta recente ha mostrato che questi animali possono persino affinare i propri sensi — in particolare la vista — per adattarsi a cambiamenti ambientali, come variazioni di luce o torbidità dell’acqua. In altre parole, i pesci non solo percepiscono il mondo, ma lo interpretano, lo ricordano, lo apprendono.

La ricerca: tra immersioni e gamberetti
Lo studio, condotto presso la stazione di ricerca STARESO in Corsica (coordinate: 42°34’47.8″ N, 8°43’28.6″ E), ha coinvolto immersioni quotidiane tra luglio e agosto 2024.
I ricercatori hanno addestrato i pesci a seguire un subacqueo per ottenere alcuni pezzi di gambero come ricompensa. Dopo un periodo di addestramento, i pesci hanno imparato a riconoscere l’umano che li premiava.
L’esperimento è stato condotto in un ambiente completamente naturale, evitando l’effetto confondente della domesticazione o dell’addestramento in cattività. In altre parole: questi pesci hanno imparato da zero, in mare aperto.
Chi è chi sott’acqua?
Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, affronta un tema poco esplorato: il riconoscimento individuale da parte di pesci selvatici in ambiente naturale.
Finora, gli unici indizi venivano da contesti di cattività o da animali fortemente abituati alla presenza umana.
Secondo i ricercatori, i pesci coinvolti hanno probabilmente usato segnali visivi – come i colori e le forme delle attrezzature da sub – per distinguere tra i due umani.
Quando questi segnali venivano eliminati (stessa muta, stesse pinne, stessa maschera), la loro capacità di discriminare tuttavia spariva.
La vera prova, infatti, è stata quando in acqua sono entrati non uno ma due subacquei che nuotavano in direzioni diverse. E solo uno dava il premio.
In questo caso, questa la domanda che si sono fatti i ricercatori, i pesci avrebbero saputo chi seguire?
Sì – ma solo se i due subacquei erano vestiti in modo diverso. Quando invece indossavano attrezzature identiche, il riconoscimento crollava.
Come ci vedono i pesci
La discriminazione visiva non sarebbe dunque il frutto di un’abilità specifica evoluta per riconoscere gli umani, ma piuttosto l’uso creativo di capacità sensoriali esistenti – come la visione dei colori e la percezione delle forme.
Il riconoscimento umano da parte dei pesci non dipende infatti dal nostro volto, dal nostro odore o dalla nostra voce.
Dipende dalle pinne che indossiamo. E, forse, da quanto spesso portiamo i gamberetti.