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Tumore alla prostata: un nuovo test per terapie sempre più mirate

Tumore alla prostata: un nuovo test per terapie sempre più mirate
L'ospedale Gemelli di Roma

Al Policlinico Tor Vergata di Roma disponibile uno strumento innovativo che sfrutta anche la genetica

Il tumore alla prostata resta il più diffuso tra gli uomini: si stimano ogni anno circa 500 mila nuovi casi, mentre Airc, citando dati relativi al 2020, riporta che in quell’anno, con oltre 36 mila persone a cui è stata riscontrata, questa forma di cancro ha rappresentato il 18,5% di tutte quelle diagnosticate tra i maschi italiani. E se le numerose terapie a disposizione permettono di ridurre al minimo la mortalità (sempre Airc ricorda che, a 5 anni dalla diagnosi, è ancora vivo mediamente il 92% dei malati, con la riduzione degli esiti infausti del -15,6% tra il 2015 e il 2020)), non è sempre semplice scegliere il trattamento personalizzato più adatto, aprendo a numerosi effetti collaterali. Se, in caso di sottotrattamento, il contrasto a un tumore ad alto rischio potrebbe non risultare adeguato, da terapie troppo aggressive possono derivare effetti collaterali debilitanti, come incontinenza o impotenza.

La genetica in aiuto alla diagnosi di tumore alla prostata

Il problema, in questo caso, deriva dai limiti intrinseci dei metodi diagnostici standard, che non sempre permettono di prevedere con accuratezza l’evoluzione della malattia. In questa prospettiva, arrivano però importanti novità dal Policlinico Tor Vergata di Roma, al momento l’unico in Italia autorizzato a utilizzare uno strumento innovativo per valutare con precisione l’aggressività del tumore, potendo di conseguenza personalizzare al meglio le terapie e, quindi, migliorare la qualità di vita dei pazienti. Il test, chiamato “Prostatype” (e, al momento, disponibile solo a pagamento non essendo ancora incluso nel Lea), si basa infatti su un’analisi genetica avanzata, con il laboratorio guidato Giuseppe Novelli che collabora nello specifico con le unità di Anatomia patologica e Urologia robotica e mininvasiva. “Prostatype – commenta Novelli – rappresenta un passo avanti nella lotta del cancro alla prostata. Grazie a questo test, possiamo ottimizzare le terapie, riducendo gli interventi invasivi non necessari e garantendo, al contempo, cure più efficaci ai pazienti a maggior rischio”.

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Giuseppe Novelli, genetista ed ex rettore dell’ Università Roma Tor-Vergata

Attraverso la combinazione di 3 geni staminali con i parametri clinici tradizionali, il test assegna infatti al caso in analisi un “Punteggio P in grado di predire il rischio di progressione del tumore, guidando medici e pazienti verso scelte terapeutiche più mirate e sicure. La valutazione preventiva dell’opportunità di una consulenza genetica è invece affidata a specialisti urologi.

Tumore alla prostata: cosa c’è da sapere

Il tumore alla prostata ha origine dalla crescita incontrollata delle cellule della ghiandola, presente solo negli uomini e molto sensibile agli ormoni, in particolare il testosterone. Tra i principali fattori di rischio spicca l’età, visto che le possibilità di ammalarsi sono scarse prima dei 40 anni, con un aumento sensibile dopo i 50, con circa 2 tumori su 3 diagnosticati in over 65. Vanno però tenuti in conto anche familiarità (che raddoppia il rischio), stili di vita (a partire dal consumo di grassi saturi, obesità e scarso esercizio fisico) e mutazioni genetiche. La prostata può essere colpita, molto più comunemente, anche da patologie benigne e va ricordato come, nelle fasi iniziali, il tumore, per il quale non esiste una prevenzione primaria specifica, si presenta in forma asintomatica. Ad aumentare negli ultimi anni l’incidenza dei carcinomi prostatici ha contribuito la sempre maggior diffusione di esami in grado di aiutare una diagnosi precoce e, di conseguenza, le possibilità di cura.

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Tra questi, il test sull’antigene prostatico specifico (Psa), anche se l’unico esame in grado di identificare con certezza la presenza di cellule tumorali è la biopsia prostatica. Un altro parametro tradizionale è il cosiddetto “grado di Gleason”, che indica la similitudine o la diversità delle ghiandole tumorali da quelle normali, determinandone l’aggressività. Lo stadio tumorale, che ne indica la diffusione, viene invece generalmente definito con il sistema “Tmn”, basato su dimensione del tumore, stato dei linfonodi ed eventuale presenza di metastasi. Dalla correlazione di Psa, Gleason e Tmn deriva la classificazione del caso all’interno di 3 classi di rischio: per quella più bassa, può essere sufficiente un monitoraggio, mentre nelle forme più rischiose la terapia attiva scelta è prevalentemente quella della rimozione chirurgica della ghiandola e dei vicini linfonodi.

Alberto Minazzi

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Tag:  tumori