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L'esempio di Alex Zanardi

L'esempio di Alex Zanardi

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Una storia che rappresenta un esempio per molti. È quella del padovano d’adozione Alex Zanardi: l’ex pilota di Formula Uno che dopo il terribile incidente del 2001 ha insegnato al mondo come superare i propri limiti

 

C’è una data, raccontando la storia di Alex Zanardi, dalla quale non si può non partire, perché ha segnato il confine tra ciò che era stata la sua vita fino ad allora e ciò che è diventata dopo. 15 settembre 2001, prima gara europea della Formula CART, circuito di Lausitzring (Germania): a pochi giri dalla fine, Zanardi perde il controllo della sua Reynard – Honda e finisce di traverso in mezzo alla pista, proprio nel momento in cui sopraggiunge, a 300 km/h, Alex Tagliani. L’impatto è terribile, l’auto di Zanardi viene tranciata in due all’altezza del muso e con essa le gambe del pilota bolognese. Salvo per miracolo, dopo tre giorni di coma farmacologico, Alex si ritrova a dover trascorrere il resto della propria vita senza entrambe le gambe. Una condizione che avrebbe potuto abbattere chiunque, ma non Alex Zanardi, il cui primo pensiero, per sua stessa ammissione, non fu rivolto a tutto ciò che non avrebbe potuto più fare, ma a come avrebbe potuto farlo ancora. Da lì, una lenta e faticosa riabilitazione e l’inizio di una nuova incredibile avventura che, negli anni, lo avrebbe portato ad essere quello che è oggi: un simbolo e un esempio positivo di forza, coraggio, determinazione, solidarietà e, sopra ogni cosa, uno sportivo vincente come e più di prima.

Alex, in una tua recente intervista hai detto che “nella vita si finisce per essere ciò che si desidera essere”. Tu lo sei diventato? «Io cerco di muovermi in quella direzione. Ho sempre cercato, sportivamente parlando, di essere “leone per un giorno” e di vivere alla giornata, anche se nulla impedisce il giorno dopo di provare a essere ancora “leone”. In fondo, bisogna prendere ogni momento come una nuova occasione per costruire qualcosa e io tento di farlo. Quando la gente mi ha visto volar via su un elicottero con meno di un litro di sangue in corpo e mi dava per morto, ma poi mi ha rivisto, un anno e mezzo dopo, sullo stesso circuito a far le cose che facevo prima, ha gridato al miracolo. In realtà, fu la conclusione di un percorso fatto di piccoli passi e di piccoli traguardi, in cui di “magico” c’è ben poco».

È per questo che oggi il tuo esempio è per molti uno stimolo a superare i propri limiti?

«La disabilità crea soprattutto un disagio di carattere psicologico, prima ancora che fisico. Non pensi a che cosa puoi fare nella tua nuova condizione, ma alle cose che non puoi più fare. Questo è il vero limite. Se per qualcuno il mio esempio funge da stimolo a superarlo, ne sono lusingato, ma non mi sento un modello per nessuno».

Il Veneto è diventata la tua terra d’adozione ed è stata spesso una tappa importante dei tuoi successi sportivi: a Treviso hai vinto i tuoi primi campionati italiani di handbike, alla Venice Marathon la fai spesso da padrone e a Padova, dove vivi, c’è la Maratona di Sant’Antonio, alla quale sei particolarmente legato. Parlaci del tuo rapporto con questo territorio…«In Veneto mi sono stabilito per amore. Nel 1989 correvo in Formula 3 per una squadra che aveva sede a Padova e il direttore sportivo era quella Daniela, che in seguito è diventata mio manager e che, come dico scherzando con i miei amici, poi ho sposato per risparmiare sullo stipendio. Ma qui in Veneto ho dato anche una svolta alla mia carriera di pilota. Nel 1991, grazie ad una squadra che aveva sede a Mestrino (PD), ho potuto debuttare in Formula 3000 e dare un senso ad una carriera che fino a quel punto aveva solo promesso, ma non aveva mantenuto ancora nulla. Fu così che mi si spalancarono le porte della Formula Uno».

Quali sono i luoghi che oggi frequenti di più o ai quali sei maggiormente affezionato? «In ordine: casa mia, Noventa Padovana (ride, ndr), e poi le strade dei Colli Euganei, che hanno un posto speciale nel mio cuore e dove vado sempre in bicicletta, per allenarmi ma anche solo per fare un giro. È lì, ad esempio, che andrò con la mia handbike appena finita questa intervista».

E i tuoi concittadini? «Sento molto affetto. Nonostante si dica che i padovani siano molto chiusi, nei miei confronti si comportano in modo verace e a me fa molto piacere».

Tra le tue mille attività, ce n’è una alla quale sei particolarmente affezionato: il progetto “Bimbingamba”, che hai creato e ideato: «È un progetto che coccolo con amore. “Bimbingamba” nasce con l’idea di aiutare tutti quei bambini che hanno bisogno di una protesi, ma che non possono permettersela. Grazie ad essa, al di là della funzionalità tecnica, riescono a riacquistare fiducia e sicurezza in se stessi. Quando ti trovi ad avere a che fare con un bambino che arriva da te guardando il pavimento, perché è l’unica forma di difesa che ha sviluppato per sottrarsi allo sguardo altrui, e che, dopo esser stato da te una decina di giorni, ride, scherza, salta, gioca con gli altri bambini e guarda le persone negli occhi, è una soddisfazione immensa. È tanta la gioia che ricevi quanta quella che dai, se non di più. La difficoltà più grossa è quella di far conoscere questo progetto agli stessi bambini e per questo cerchiamo sempre di raggiungerne il più possibile, attraverso il passaparola o queste interviste».

Oggi sei il numero uno al mondo nell’handbike e nel 2016 ci sono le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Ci stai facendo un pensierino? «È sicuramente un obiettivo, ma data la mia età devo vivere alla giornata. Nel 2016 avrò quasi 50 anni, ma se il mio fisico sarà ancora quello di oggi sarò sicuramente della partita. Del resto, in Canada quest’anno sono diventato campione del mondo. È stata più dura del previsto, ma alla fine ho messo tutti dietro e… beh, è una figata».
Dopo mezzora di chiacchierata lo lasciamo al suo allenamento sui Colli e lui lascia noi con una riflessione. In una puntata di “Sfide”, il programma televisivo che conduce su Raitre, Alex disse: “Quando sei in corsa, non puoi e non devi smettere di correre e quando sei a terra, puoi e devi sempre rialzarti”, perché questa è “l’essenza dello sport” e perché “le vittorie più belle possono arrivare anche quando non te le aspetti più”. Alex lo ha dimostrato al mondo intero.

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Alessandro Zanardi
è nato a Bologna il 23 ottobre 1966. Dopo aver mosso i primi passi sui kart, vincendo 3 Campionati Italiani e il titolo europeo, approda prima in Formula 3 e poi in Formula 3000. Dal 1991 al 1994 corre in Formula Uno con Jordan, Minardi e Lotus. Nel 1996 si trasferisce negli Stati Uniti per correre in Formula Cart, dove vince il titolo per due volte consecutive, nel 1997 e 1998. Dopo un’altra breve parentesi in Formula Uno con la Williams, nel 2001 torna alla Cart negli USA e il 15 settembre dello stesso anno, nel circuito europeo di Lausitzring, è vittima di un grave incidente nel quale perde entrambe le gambe. Dopo una lunga riabilitazione, nel 2005 torna al successo in una gara del Mondiale Turismo (WTCC) e nello stesso anno si aggiudica il Campionato italiano Superturismo. Negli anni seguenti si avvicina all’handbike, debuttando alla maratona di New York nel 2007 con un sorprendente quarto posto. Nel 2010, a Treviso, vince i Campionati italiani di ciclismo su strada nella categoria H4. Alle Paralimpiadi di Londra 2012 conquista la medaglia d’oro sia nella prova a cronometro che nella prova su strada e nel 2013, in Canada, si laurea Campione del Mondo in entrambe le prove. È protagonista di numerose iniziative benefiche ed è tra i fondatori dell’associazione “Bimbingamba”, che si occupa di realizzare protesi per i bambini di tutto il mondo che hanno subito amputazioni e che non possono usufruire dell’assistenza sanitaria. Dal 2012 è anche conduttore televisivo della trasmissione “Sfide”, in onda su Raitre. Alex vive a Noventa Padovana (PD), è sposato con Daniela ed è padre di Niccolò.

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