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LA LEGGENDA DEL PALLAVOLISTA VOLANTE

LA LEGGENDA DEL PALLAVOLISTA VOLANTE

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«E la leggenda non è altro
che il racconto intimo della mia vita
da sportivo ma anche da ragazzino,
delle mie paure, dubbi, delle insicurezze»

 

Da ex campione di pallavolo a commentatore, giornalista, scrittore
e da poco anche attore. Andrea “Zorro” Zorzi si racconta
e presenta la sua nuova sfida: lo spettacolo teatrale
in cui ripercorre la sua fantastica carriera a partire
dal rapporto con il Veneto che gli ha dato i natali

Il copione della trama della sua vita adesso non è più davanti alla rete di un campo di pallavolo. Di fronte a lui ad aspettarlo c’è il pubblico del palcoscenico di un teatro. Una finale da World League ad ogni replica, una prova in cui concentrazione e carattere devono emergere per ottenere un risultato positivo. Andrea “Zorro” Zorzi di schiacciate e “muri” ne ha fatti tanti nella sua carriera di pallavolista, adesso che non pratica più sport agonistico, ha scelto di scommettere su se stesso, sulla storia della sua vita, su quella che teatralmente ha ribattezzato “La leggenda del pallavolista volante”.
Nato a Noale e cresciuto a Chirignago, nel veneziano, e quindi a Torreselle, paesino del padovano, Zorzi dopo aver detto basta con la pallavolo ad alto livello ha deciso di mettersi in discussione nella vita. Commentatore, giornalista, scrittore e, da poco, anche attore. «Dire basta con lo sport ad alto livello significa cambiare vita – spiega Zorzi – Una questione fisica ma anche mentale. Per qualche tempo ho giocato ancora nei tornei master ma adesso mi dedico solo a palestra, corsa, bici e mantenimento. Giocare ancora a volley significherebbe mettere a rischio l’integrità fisica e quando si smette di allenarsi con una certa intensità si corrono dei rischi inutili».
Televisione e sport, un mondo che non ha abbandonato del tutto. «Attualmente collaboro con Sky Sport come commentatore. Ma il mio non è un intervento a livello tecnico. Ho il compito di fare domande specifiche supportate da immagini, slide, che comportano una fase di preparazione su alcune questioni che non riguardano il risultato o i pronostici. Un modello che è stato utilizzato per commentare le Olimpiadi ma anche i Mondiali di calcio in Brasile».
Facciamo un passo indietro. All’Andrea Zorzi bambino, quello nato a Noale e che ad un certo punto, un po’ tardi a dire la verità, si è avvicinato alla pallavolo e poi è diventato un simbolo. «A Noale ci sono solo nato. Poi per 5 anni con i miei genitori abbiamo vissuto a Chirignago, alle porte di Mestre e infine a Torreselle, in provincia di Padova. Mio padre faceva il camionista, poi ha lavorato all’estero e quando è tornato è stato assunto alla Svet, oggi Actv, come autista dei bus. Mia madre, invece, lavorava a San Clemente, in quella che allora era una clinica psichiatrica. L’incontro con il volley è iniziato per caso, come spesso accadono certe cose nella vita. Avevo 16 anni, frequentavo il liceo Giorgione a Castelfranco. Ero un ragazzo come tanti, non un predestinato, pure io con qualche problema di acne e con questa altezza tremenda che un po’ era quasi un handicap. Il prof di educazione fisica non sapeva che sport farmi provare e per la mia altezza decise di mettermi sotto una rete di pallavolo. Non ero così portato. Ma un po’ alla volta presi confidenza con i movimenti, con la palla e grazie, devo dirlo, proprio al fisico sono diventato un giocatore vero. La mia prima squadra fu il Trebaseleghe. Poi tutta la trafila fino agli splendidi anni della Nazionale con Ct Julio Velasco».
La televisione, qualche esperienza editoriale e poi nel 2012 sulla strada di Zorzi appare improvvisamente il teatro. «Ero all’isola dell’Elba dove vado abitualmente in vacanza con mia moglie. E proprio là sugli scogli ho conosciuto due persone, Barbara Visibelli e Nicola Zavagli, attrice e sceneggiatore. A loro ho parlato per la prima volta dell’idea, un giorno, di poter raccontare lo sport a teatro. Non l’avessi mai detto, in pochi mesi abbiamo scritto copione e siamo andati in scena a Firenze per la prima con me come attore protagonista assieme a Barbara. E la leggenda non è altro che il racconto intimo della mia vita da sportivo ma anche da ragazzino, delle mie paure, dubbi, delle insicurezze. Una parte della commedia è recitata in dialetto veneto, proprio per enfatizzare le mie origini».
Una sfida vinta, l’ennesima per Andrea Zorzi che non nega quanto sia servita anche l’abitudine ad essere stato un professionista del volley e che ha vissuto la sua vita sportiva facendo della concentrazione uno dei must principali. «Sì, devo dire che l’abitudine ai grandi palcoscenici, la capacità di concentrazione e di allenarsi tanto, di superare i momenti critici e di grande emozione come può essere una Olimpiade o una finale di World League, mi hanno aiutato molto anche sul palcoscenico. Soprattutto quando ho debuttato a Piacenza davanti a Julio Velasco, Andrea Giani, Andrea Lucchetta, e tutti gli amici della Nazionale stellare in cui ho avuto la fortuna di far parte. Oppure nella replica a cui hanno assistito i miei genitori che abbiamo organizzato a Trebaseleghe per festeggiare i 40 anni della società in cui ho iniziato a giocare a pallavolo. Sono 80 minuti in cui metto in vetrina me stesso, ma senza paura, anche le cose più intime, il rapporto con mia moglie, le difficoltà, i problemi superati».
Zorzi e il Veneto, un legame forte e che è parte determinante della “Leggenda di un pallavolista volante”. «La prima parte è dedicata interamente alla mia infanzia, ai miei genitori e alla mia vita da ragazzino. Ma parlo anche del Veneto di 40 anni e di com’era prima e di come è cambiato e diventato adesso. Gli anni novanta sono stati uno spartiacque drammatico e straordinario per questa regione. La ricchezza non equivale a crescita sociale. Il Veneto di oggi è vittima di quella grande crescita. Quella di allora era la regione della campagna, era il Veneto delle grandi fattorie e dei contadini, tutto aperto, tutto senza barriere. Con gli anni Novanta sono esplose numericamente le abitazioni che, guarda caso, avevano il recinto, il muro, il cancello: case chiuse. E i muri delle case sono diventati come i muri di una prigione. Ed hanno portato ad una chiusura. Noi veneti siamo tropo chiusi dento noi stessi e abbiamo guardato l’esterno più per differenza che per volere di farci parte».
Le repliche dello spettacolo sono riprese da settembre. E gli appuntamenti saranno anche nel suo Veneto. Per saperne di più basta cliccare sul blog http://laleggendadelpallavolistavolante.wordpress.com

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Tag:  sport, teatro, volley